Napoli

La settimana di calcio che va dal 23 al 30 maggio aveva rivelato una verità incontestabile sulla SSC Napoli, sul suo popolo tifoso e, di conseguenza, su tutto l'eterogeneo e spesso impresentabile mondo che lo circonda. Era bastato che la squadra azzurra, dopo un'annata superlativa nella quale aveva raccolto solo punti e complimenti e aveva zittito sul campo detrattori e rosiconi, giocasse qualche partita con un paio di quelle tanto "blasonate" squadre italiche, in competizioni anche differenti (tra cui la sfavillante Champions), per far uscire fuori le peggiori inclinazioni di tanti, tra addetti ai lavori - calciatori, ex calciatori allenatori, viceallenatori, giornalisti e commentatori televisivi, più o meno titolati a farlo - e soliti (anonimi) leoni da tastiera di social di vario tipo e valore (ammesso che qualcuno ne abbia).

Ce n'era, solo tra i primi - gli unici che prenderò ovviamente qui in considerazione - per tutti i gusti e la maggior parte di loro aveva gettato la maschera proprio in quelle ore, con malcelata insofferenza dopo i rinnovati incroci con il Milan, che ci avevano visti soccombere, anche un po' a sorpresa e certo immeritatamente in Champions, ma con irrefrenabile e generalizzato livore solo dopo la partita con la Juventus (manco a dirlo), giocata alla pari nel primo tempo, ma stradominata nei secondi 45 minuti, tanto da meritare largamente di vincerla.

A differenza di quello che aveva incantato il mondo intero nello scorcio premondiale dell'attuale stagione calcistica e, in parte, di quello che aveva cosi ben giocato dopo la sconfitta con l'Inter che a quella pausa era seguita, il Napoli delle ultime giornate di campionato non si era dimostrato proprio imbattibile. E non lo era stato per varie ragioni, non ultime le difficoltà a mantenere standard fisici ed emotivi immutati dopo aver giocato tanto e con tanto profitto, ma soprattutto dopo avere di fatto "vinto lo scudetto" già quindici turni prima della sua naturale conclusione e in un ambiente poi come quello azzurro dove ogni angolo di strada e ogni incontro, programmato o occasionale che fosse, ribolliva dei tratti enfatici di quella "vittoria", per quanto non ancora acquisita per matematico distacco dalla mutevole seconda.

Non mi piacciono, lo confesso, le esternazioni post-partita, da qualunque parte provengano (ancor meno se da quella partenopea), che non riconoscano i meriti dell'avversario oppure, ove sussistente, la "grazia ricevuta", che sopraggiunga sotto forma di dea bendata (che talvolta tanto bendata non è) o sotto le integerrime spoglie di un signore in pantaloncini col fischietto in bocca (figurarsi se il signore sta seduto invece comodo comodo davanti a un bel monitor).

E, pertanto, ho trovato, al di là dei pur evidenti demeriti o difetti del Napoli, entrambe le sfide in Champions League contro i rossoneri, "viziate" da questo impareggiabile difetto tutto italiota, questa incapacità a elevarsi oltre il momento pur legittimo di passione per consegnare ogni commento o osservazione del dopo al nobile retaggio della sportività.

Non farà punti, non resterà negli annali o negli almanacchi, nessuna statistica ne farà cenno, ma avvicinerà di certo i giovani al meraviglioso gioco del calcio con un insegnamento e un'emozione che potrebbero durare un po' di più di quel breve e volgare tempo a cui pare ormai quasi tutto sia destinato. Ma il peggio di questa breve storia di maleducazione e protervia doveva ancora arrivare.

La partita di campionato con la Juventus ci ha sostanzialmente lasciato tre eredità di cui noi napoletani e il mondo del calcio avrebbero fatto tranquillamente a meno.

La Prima. Era stata mantenuta aperta una curva becera e razzista dello Juventus Stadium pare per un ritardo formale di pochi minuti (guarda caso) nella richiesta di chiusura ed era stato fatto regolarmente scendere in campo un calciatore, Juan Cuadrado (e chi sennò) che qualche giorno prima, alla fine di una sfida di Coppia Italia con l'Inter, aveva scagliato, volontariamente e con inusitata forza e cattiveria, un pugno contro un avversario, adducendo la motivazione (ancora) formale, e peraltro non sempre rispettata in passato, della differente competizione.

La seconda. Erano stati messi in piedi in fretta e furia tormentoni televisivi e interrogazioni parlamentari per un gol giustamente annullato alla Juventus - tanto da mettere arbitro e VAR a riposo per un po' - senza che nessuno citasse però gli evidenti torti subiti dal Napoli in quella partita, tra gli altri, una sacrosanta espulsione non comminata al frustrato Gatti al 32esimo del primo tempo e un fallo di mano di uno svolazzante Locatelli non sanzionato in area bianconera che, benché del tutto involontario, aveva rallentato o quantomeno deviato dalla sua naturale traiettoria una palla che avrebbe potuto essere da lì a breve nella piena e mortifera disponibiltà di un calciatore avversario.

La terza. Era stato consentito che un allenatore di calcio, l'incontinente e odioso Massimiliano Allegri, proferisse frasi prima irrisorie e poi offensive nei confronti della SSC Napoli - risultando poi recidivo e in peggio contro l'Inter e i suoi dirigenti - mentre il suo anonimo vice aggrediva verbalmente e volgarmente Luciano Spalletti, senza che a tali azioni seguissero prese di posizione esemplari di media e istituzioni calcistiche. A quella partita va ascritto infine anche un gesto ignominioso. Cuadrado (e chi sennò) ha simulato un fallo in area napoletana andando volontariamente a impattare con la sua gamba sinistra contro un calciatore azzurro (Juan Jesu, ndr) voltato.

Tale atto era solo l'ultimo di una lunga serie perpetrata dallo stesso calciatore e non era stato seguito, ancora una volta, da alcuna sanzione da parte degli organi di giustizia sportiva - si sarebbe ampiamente guadagnato per meriti antisportivi la radiazione, ma almeno una squalifica avrebbe rappresentato per tutti un buon esempio - né tantomeno da sdegnate reprimende da parte della sua già commissariata società di appartenenza, del suo loquace e fazioso allenatore o della tanto solerte e strabica opinione pubblica.

Il Napoli, dal canto suo, in questa tempesta di eccezioni, a cui si erano accodate prontamente tutte le scomposte polemiche per il rinvio della partita con la Salernitana e gli inaccettabili divieti a festeggiare lo scudetto in città diverse da Napoli, ha mantenuto, dal presidente a scendere, il suo aplomb, non tanto differente dalla qualità e dalla signorilità del suo gioco. Ad eccezione del calcetto di Mario Rui a un calciatore dell'Empoli, non ho memoria di un atto scomposto o antisportivo di un qualunque tesserato del Napoli lungo tutto il corso di questa stagione. Anzi. Non a caso quella partenopea è la squadra con il maggior possesso palla del campionato italiano e con il minor numero di falli e cartellini gialli a suo sfavore. Tanto da poter far dire, anche a chi napoletano non è, che è nato - ma per la verità c'era già da un bel po' - uno "stile Napoli". Non gia fatto di charme (che per la verità non ci è mai mancato) e ampollosità e neppure di ricchezza e potere, ma di una dignità, una classe, una generosità e una simpatia da sempre senza pari. Perché, parafrasando Totò, "campioni si nasce e noi" - pluriscudettati o meno, blasonati o meno - "lo nacquimo".