Napoli

Lo ammetto, appartengo a coloro che l'avrebbero fatta giocare di sabato la partita della discordia, quella Napoli-Salernitana che ha offeso tanti e a tanti ha dato una immeritata libertà di parola. E non perché abbia antichi ascendenti salernitani - a cercare bene di certo ne troverei - ma perché preferisco che tutto accada com'è stato scritto.

La sfida tra azzurri e granata doveva essere, a mio giudizio, giocata così com'era, dicendola secondo modelli di ricerca scientifica, in doppio cieco. Nessuno dei contendenti avrebbe dovuto sapere cosa sarebbe accaduto l'indomani, né se alla conclusione dei 90 minuti allo stadio Maradona l'obiettivo - come ama ancora definirlo Luciano Spalletti - era stato raggiunto. Questo è esattamente il perfido e meraviglioso gioco della vita e questo andava rispettato.

Ma le mie ragioni contano poco, anzi nulla, di fronte a quelle supreme "di ordine pubblico" che, ammetto, ancora oggi un po' mi sfuggono. In ogni caso si era giocato a conti (in parte) già fatti, cioè dopo Inter-Lazio, di cui tanto si era pure lagnato - vedendosi già vittima sacrificale sull'altare del "grande evento" - quel Maurizio Sarri, sempre meno comandante e sempre più fante. L'avversario di turno era di quelli tosti. Otto risultati utili consecutivi, un'acerrima rivalità tirata via da vattelapesca e "oceaniche folle" aizzanti - 1000-1500 persone al più - a uno degli ultimi allenamenti tra le mure amiche. Dopo le parole non benevoli del sindaco di Salerno e (perfino) del presidente Iervolino, che facevano da mediocre corollario a quelle facinorose per definizione degli ultrà granata (sulla stessa linea, ahimè, di quelli di Bergamo, Udine e Varese), ci eravamo dovuti sorbire anche le dichiarazioni nella conferenza prepartita del solitamente misurato Paulo Sousa, che aveva parlato di "preparazione condizionata" e di "un giorno in meno per la partita contro la Fiorentina". A lui, come a tutti quelli che a vario titolo avevano criticato la scelta del Prefetto - badate bene non di Aurelio De Laurentiis - di spostare la partita aveva risposto l'allenatore del Napoli che, declinata ogni responsabilità, asserriva a giusta ragione, di non aver "affidato al prefetto o al fato il nostro campionato, ma alla nostra idea di calcio, per fare felici quelli che ci attendono col fiato sospeso per ore in un aeroporto o per strada solo per veder passare un pullman azzurro". Questo, a guardar bene, è il vero grande "obiettivo" già centrato.