Benevento

Ci sono anche alcuni beneventani tra gli arrestati nell'operazione, denominata Alcatraz, diretta dalla Procura di Trapani e condotta dai carabinieri e dalla polizia penitenziaria su droga, telefoni e corruzione nel carcere siciliano. E' qui che è detenuta l'unica persona di Benevento- un 39enne- colpita da una delle 17 ordinanze di custodia cautelare in carcere.

Si tratta di Nicola Fallarino, al quale circa un anno fa è stata confermata in appello la condanna all'ergastolo per l'omicidio di Coismo Nizza. Ai domiciliari sono invece finiti Annarita Taddeo, 32 anni, Vincenzo Piscopo, 33 anni, e Roberto Fallarino, 32 anni, anche loro di Benevento, difesi dagli avvocati Vincenzo Sguera, Gerardo Giorgione, Giulia Cavaiulo e Domenico Dello Iacono. Stessa misura anche per altri due indagati; due, infine, gli obblighi di dimora.

Le ipotesi di reato a vario titolo: corruzione, spaccio di droga, abuso d'ufficio, truffa aggravata, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica, evasione e accesso indebito di dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti.

 Oltre che a Benevento, gli arresti sono stati eseguiti a Trapani, Palermo, Bari, Porto Empedocle (Ag), Mazara del Vallo (Tp) e Avola (Sr).

Il provvedimento - si legge in una nota diramata dall'Arma - "compendia le risultanze scaturite dalle indagini dei reparti operanti, coordinati dalla locale Procura, che dopo la denuncia di alcuni detenuti transitati dal
penitenziario trapanese, hanno documentato (da ottobre 2019 ad oggi) presunti episodi di corruzione di alcuni agenti della polizia penitenziaria, già in servizio presso la casa circondariale “Pietro Cerulli di Trapani” che, dietro dazione di denaro o altre utilità (comprese prestazioni sessuali da parte della moglie di un detenuto), avrebbero consentito l’introduzione in carcere di sostanze stupefacenti, telefonini (oltre 50 quelli sequestrati) e altri beni (armi improprie, sigarette, profumi,…) in favore di soggetti reclusi, anche
appartenenti alla criminalità organizzata e ristretti presso i reparti di Alta Sicurezza".

E ancora: "Dalle indagini sarebbe, quindi, emerso uno spaccato inquietante della realtà carceraria
trapanese, ove per la popolazione detenuta, la possibilità di utilizzare i telefoni, come strumento di comunicazione con l’esterno, sembrerebbe essere divenuta indispensabile per la quotidianità all’interno degli istituti penitenziari. Gli investigatori avrebbero accertato le diverse modalità delle consegne in carcere.
Quando queste non erano possibili mediante l’aiuto degli agenti infedeli, gli espedienti utilizzati erano i più disparati: alcuni detenuti optavano per l’occultazione del materiale in scarpe o finanche nelle cavità corporee, altri si avvalevano di tecniche “innovative” come il lancio all’interno dell’istituto penitenziario di un pallone da calcio, preventivamente “farcito” con telefoni cellulari, oppure mediante “droni” che persone specializzate mettevano a disposizione come un vero e proprio servizio di “delivery”".
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, "alcuni agenti infedeli avrebbero anche utilizzato certificazioni mediche attestanti falsi stati di malattia per poter svolgere lavori extra quali, ad esempio, il servizio di sicurezza presso locali notturni, oppure altre attività personali durante l’orario di lavoro. Nel corso dell’attività investigativa (denominata convenzionalmente “Alcatraz”) sono state complessivamente sottoposte ad indagini 30 persone, tra cui quattro agenti di polizia penitenziaria, tutti non più in servizio (di cui due non destinatari di provvedimenti cautelari). Uno degli ex agenti è indagato perché avrebbe omesso di denunciare all’autorità giudiziaria il presunto pestaggio di un detenuto ad opera di alcuni agenti penitenziari".