Benevento

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell'avvocato Gino De Pietro

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Ogni anno vengono pubblicati, in una complessa relazione corredata di cifre, grafici e considerazioni, i dati delle prove INVALSI riguardanti il livello delle competenze raggiunte in Italiano, Matematica e, da qualche tempo, Inglese dagli alunni delle scuole italiane. Le prove riguardano gli alunni della seconda e quinta classe della scuola primaria, della terza classe della media inferiore, della seconda e quinta classe della media superiore. L’analisi è suddivisa per regioni e, nelle scuole superiori, anche per indirizzi (licei classici e scientifici, altri licei, istituti tecnici e professionali).

Il quadro che scaturisce da tali dati dimostra che una fetta considerevole di ragazzi ha conoscenze molto inferiori a quelle ritenute di base con un paese diviso in due in cui la distanza tra i due tronconi che la compongono tende ad aumentare e a scavare un solco più profondo di una linea di confine tra il Centro Nord e il Sud.

Decenni di politiche dissennate, di sbandierato liberismo, di interventi clientelari o tampone, di mancanza di programmazione degli obiettivi nazionali di conoscenza nelle discipline fondamentali e di conseguente programmazione dei docenti necessari, ha determinato una situazione ingravescente che diviene di anno in anno più allarmante.

I rapporti INVALSI passano senza lasciare alcuna traccia visibile dopo il rituale articoletto in settima pagina all’indomani del comunicato stampa che ne dirama i dati in sintesi.

Nessuna vera riflessione pubblica sorge dai pur preoccupanti dati emergenti da tali relazioni, benchè esse siano chiare e non sottoposte ad alcun segreto. In un mondo in cui tutti rincorrono i segreti, sia per propalarli che per perseguire chi li viola, questo rapporto, che contiene dati pubblicamente scandalosamente preoccupanti, passa sotto completo silenzio.

Sono in corso le prove e mi pare il momento opportuno per fare una riflessione un po’ meno estemporanea sui risultati dello scorso anno. Non essendo possibile analizzare tutti i dati in un solo momento, mi limiterò a commentare quelli relativi alla seconda classe della primaria. Se l’argomento susciterà interesse si potrà proseguire nell’analisi.

I dati si manifestano preoccupanti fin da subito.

I risultati della prova di Italiano sono ritenuti dalla relazione “oltremodo importanti… È infatti noto che questa competenza svolge un ruolo deciivo nell’apprendimento ed è quindi importante monitorare fin da subito il suo sviluppo…in una prospettiva volta all’individuazione rapida di azioni di supporto e consolidamento.”.

Il dato aggregato nazionale ci informa che il 28% degli allievi non raggiunge almeno la fascia corrispondente al livello base delle competenze. L’Istituto utilizza un criterio di suddivisione delle competenze in sei fasce, così distinte dalla prima alla sesta: molto basso; in via di prima acquisizione; base; intermedio 1; intermedio 2; avanzato.

Ben il 28% degli alunni della seconda classe della primaria restano sotto al livello base, mentre solo l’8% raggiunge il livello avanzato. Ciò significa che, fin dai primi anni di scuola, si forma una sacca, pari a poco meno di un terzo degli allievi, che non ha le capacità di lettura minime per comprendere l’oggetto dei propri studi attuali e successivi, minando alla base il percorso formativo. Questo dato, da solo, rappresenta un dato preoccupante per il paese, che non è in grado di condurre un numero estremamente significativo di alunni ad un livello di alfabetizzazione di base.

Il dato non merita solo una riflessione, ma degli interventi mirati e urgenti trattandosi di una vera e propria emergenza nazionale, se non vogliamo che l’Italia ritorni ad essere un paese caratterizzato dall’analfabetismo, come era non moltissimi anni fa. A chi non ricorda o fa finta rinvio alla lettura del libro Cuore e alla visione di qualche puntata di “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi.

Il dato diviene ancora più allarmante se si guarda alle differenze territoriali. Ci sono regioni (Calabria, Sicilia e Piemonte) in cui la percentuale di alunni che non raggiungono il livello base supera il 30%. La relazione, nel prendere in considerazione tali dati, osserva: “A parità di tutte le altre condizioni… rimane comunque una differenza endogena degli esiti territoriali, a vantaggio del Centro e a chiaro svantaggio del Mezzogiorno.”

Nel grafico allegato si vede chiaramente che lo svantaggio del Mezzogiorno senza le isole è del 4,3%, che sale al 7,5% considerando anche Sicilia e Sardegna.

Il quadro non migliora con la Matematica, dove il dato nazionale aggregato mostra che gli allievi che non arrivano al livello base è ancora più alto che in Italiano, attestandosi al 30%, cioè due punti in più, dimostrando che questi ragazzi non solo non comprendono adeguatamente la loro lingua madre, ma hanno anche serie difficoltà logiche di base.

Le “competenze” matematiche di base danno importanti informazioni relative alle capacità logiche e l’Istituto sottolinea che “questa competenza svolge un ruolo decisivo nell’apprendimento, largamente inteso, ed è quindi importante monitorare il suo sviluppo…”

Se si passa all’analisi dei dati su base territoriale, la situazione diviene ancor meno incoraggiante, sottolineando l’Istituto che ci sono vaste fasce del paese in cui la percentuale di allievi che non raggiunge il livello base supera, a volte anche di molto, il 30%.

Nel prendere in considerazione tali dati, la relazione, come già con l’Italiano, sottolinea che: “A parità di tutte le altre condizioni… rimane comunque una differenza endogena degli esiti territoriali, a vantaggio del Centro e a chiaro svantaggio del Mezzogiorno.”.

Dalla lettura del capitolo della relazione dedicato alle prove della seconda classe della scuola primaria scaturisce un quadro negativo per l’intero paese, in cui circa il 30% dei bambini di sette-otto anni già presenta uno svantaggio sia in termini di comprensione della propria lingua madre che in termini di elaborazione logica estremamente significativo e preoccupante, pari probabilmente ad una parte importante di un anno di studi, se non anche ad un anno intero.

È come se un terzo circa dei nostri allievi frequentasse fisicamente o fosse destinato a breve a frequentare una classe senza partecipare davvero attivamente alle lezioni e alle esperienze didattiche che vi si svolgono, essendo al di sotto della soglia minima necessaria per trarre frutto dall’insegnamento ivi impartito.

Che ciò si verifichi non a quindici anni, nelle scuole superiori, ma fin dalle prime classi dell’insegnamento elementare, è gravissimo e dovrebbe indurci ad assumere urgentemente provvedimenti drastici e tali da contrastare tale andamento. Tali iniziative dovrebbero tener presente che la relazione non manca di sottolineare adeguatamente che, a parità di tutte le altre condizioni, la situazione del Mezzogiorno e delle isole è peggiore rispetto al già negativo dato nazionale e che, quindi, per evitare l’aggravamento dell’asimmetria, gli interventi dovrebbero essere più incisivi al Sud di quanto lo siano nel resto d’Italia. Se si vuole che il paese sia omogeneo e che tutti i bambini siano allo stesso modo cittadini italiani, si deve ridurre fino ad azzerarlo, il dislivello che fin dalla scuola primaria, si determina tra il Mezzogiorno e il resto del paese.

La maggiore preoccupazione che desta questa situazione deriva dalla sua sostanziale sottovalutazione che rasenta il totale disinteresse. Mentre ai tempi di De Amicis o del maestro Manzi o di Don Lorenzo Milani, il problema dell’analfabetismo era fortemente sentito e vivamente discusso e combattuto, oggi, forse anche per le anestetizzanti promozioni formali, sembra che tutto vada bene, quando invece la situazione è pessima e non si vedono all’orizonte margini di miglioramento.

Oggi noi abbiamo centinaia di migliaia di bambini che frequentano la scuola per due anni senza che capiscano davvero ciò che leggono o comprendano elementari problemi logici. Molti anni fa, alla fine della seconda elementare, si sosteneva un esame per il passaggio al secondo ciclo che comprendeva Italiano e Matematica. Oggi, quasi un terzo di ragazzi destinati a frequentare la terza classe non solo non lo supererebbero ma forse non comprenderebbero neanche bene cosa viene loro chiesto.

È arrivato il momento di prendere consapevolezza di questa tragedia nazionale senza continuare a preoccuparci solo di banchi, riscaldamenti, PON e reclutamenti forzati, spostando sempre il focus dell’attenzione dal servizio che si deve rendere ai cittadini al consenso della burocrazia interna che egemonizza il dibattito o al compiacimento degli alunni cui non bisogna rendere la vita troppo scomoda.

Se la riflessione dovesse suscitare qualche interesse, si potrà continuare a scrivere di questa che senza dubbio costituisce una vera e propria emergenza nazionale che meriterebbe un Piano Nazionale che oserei chiamare di Rinascimento e Risorgimento, in memoria di due straordinari periodi della nostra storia.