A Salerno sperano di aver trovato finalmente un porto sicuro da cui iniziare una nuova vita. I 248 migranti sbarcati dalla Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere, hanno alle spalle storie di violenza, disperazione e dolore, come racconta ad Ottochannel l'operatrice umanitaria Candida Lobes.
Il racconto delle violenze
«Hanno passato momenti difficilissimi, sono stati vittime di torture e abusi. Ieri ho parlato con un ragazzo molto giovane, aveva provato una prima volta ad attraversare il Mediterraneo dalla Libia ma è stato intercettato dalla Guardia Costiera libica, riportato in un centro di detenzione e lì appena arrivato lui, così come altri ragazzi, sono stati imprigionati, bloccandogli mani e piedi e lo hanno aggredito con bastoni e tubi di ferro. Ci ha mostrato - ha spiegato Candida Lobes - una cicatrice di oltre 10 centimetri sul ventre e altri cicatrici sulle braccia e altre parti del corpo. Questo è solo uno dei casi».
Una donna, proveniente dal Camerun, invece, mentre era in viaggio nel deserto con la sua bambina, l'ha vista morire per una malattia. Tante altre ragazze, all'arrivo in Italia, ancora non riescono a credere di avercela fatta. «Quasi tutte - ha sottolineato Candida Lobes - ci hanno raccontato di violenze subite, stupri avvenuti non solo nei centri di detenzione in Libia ma anche durante la traversata nel deserto».
La gioia nel dolore: la nascita di Ali
Storie di dolore ma anche di speranza. A bordo della Geo Barents è nato Ali, piccolo-eroe che dopo aver percorso chilometri nel grembo della madre, ha emesso il primo vagito durante il viaggio. «La mamma di questo bambino ha passato due anni in Libia, aveva già altri figli, di 2, 8 e 10 anni. Ha lavorato per mettere da parte dei soldi per poter viaggiare e continuare il suo viaggio. È riuscita a effettuare la sua traversata al nono mese di gravidanza. Non aveva scelta, era l’occasione per lei e per i suoi figli di lasciare quell’inferno che era la Libia. Ci ha raccontato – aggiunge l'operatrice umanitaria - di aver avuto già dei dolori durante la traversata. È stata in mare almeno dieci ore, l’abbiamo recuperata su un gommone sovraccarico, erano 90 in quel gommone. Il salvataggio è stato il 6 dicembre e nemmeno ventiquattro ore dopo è iniziato il travaglio. È stato lungo, 7 ore, ma poi è nato questo bambino di 3 chili e mezzo. Entrambi avevano bisogno di cure post natali che su una nave non potevamo garantire quindi abbiamo richiesto immediatamente l’evacuazione medica che poi è avvenuta verso Lampedusa e poi è stata trasferita in Sicilia».
«Noi vorremmo non esserci in mare»
Un ruolo fondamentale, quello dei volontari di Medici Senza Frontiere. «Noi vorremo non esserci nel mare, vorremmo non dover lavorare. Ci siamo perché non c’è nessun altro. Ci siamo perché gli Stati europei, le istituzioni europei e gli Stati membri hanno deciso di non intervenire, hanno girato le spalle alla loro responsabilità di dare assistenza, di salvare vite nel Mediterraneo. Dal 2014 sono oltre 25mila persone che hanno perso la vita cercando di fare questa traversata. Noi in un anno e mezzo di attività abbiamo salvato quasi 5500 persone e chiaramente continuiamo a vedere persone che rischiano la loro vita perché non hanno alternative. Non ci sono vie legali possibili, queste persone non hanno alcun altra possibilità tranne che rischiare la propria vita e molto spesso anche quella dei loro figli anche ancora non nati per cercare un posto sicuro e di mettersi al sicuro e di non rischiare più la loro vita».