Benevento

Per non dimenticare. Perchè la memoria è un dovere che va esercitato, nel rispetto di quanti hanno perso un loro caro in circostanze drammatiche. Ferite mai completamente rimarginate dal tempo: perchè è successo, chi è stato a decidere che quelle esistenze andavano stroncate per sempre? Domande senza una risposta, un buio fittissimo che nessuna indagine è riuscita a squarciare. Storie che restano senza una spiegazione. Storie di uomini praticamente coetanei che abitavano ad un tiro di schioppo l'uno dall'altro, all'improvviso travolti dal mistero in un piccolo lembo del nostro territorio.

Severino, Enrico e Carmine sono i nomi scolpiti negli archivi di cronaca. Rimandano al dolore delle loro famiglie, alle quali nessuno è fin qui riuscito ad offrire una chiave di interpretazione.

Le ricostruzioni, almeno quelle giornalistiche, sono rimaste immutate. Severino Frusciante, di San Giorgio del Sannio, aveva 34 anni ed era papà di una bimba. Lavorava come cuoco in un pub di Venticano, nella notte tra il 27 ed il 28 dicembre del 1998 era stato ammazzato mentre rientrava nella sua abitazione sulla via Appia. Il corpo era in una Panda diesel di colore bianco, centrato da tre colpi di pistola calibro 7,65 sparati a breve distanza ed in rapida successione. Qualcuno l’aveva affiancato ed aveva sparato, senza dargli scampo. L’auto era uscita di strada ed aveva concluso la sua traiettoria ‘impazzita’ in un terreno.

Alcuni automobilisti in transito avevano fatto scattare l’allarme. Inutile qualsiasi soccorso, senza risultati i tentativi di rianimazione. La Panda era rimasta con i fari accesi, inizialmente si era pensato che fosse rimasto vittima di un incidente dovuto, magari, alla stanchezza accumulata. Un colpo di sonno, insomma, o una distrazione fatale. Il rischio che potesse essere seppellito senza che si sapesse la verità era stato spazzato via, fortunatamente, da un successivo esame; un’ispezione medico-legale più approfondita che aveva fatto emergere un dato inquietante e tragico.

Otto mesi più tardi, ad Apice, il nulla aveva ingoiato Enrico Soricelli, 36 anni, coniugato e con due figli in tenera età. Era titolare di un'attività commerciale, era sparito nel pomeriggio del 6 agosto del 1999. "Vado a San Giorgio del Sannio", avrebbe detto ad un suo collaboratore stringendo tra le mani un compact -disk di Gigi D'Alessio. Lo aveva duplicato la sera prima, dopo aver avuto l'originale da un amico. Intorno alle 13,30 aveva telefonato ad un legale di fiducia per chiedergli informazioni sull'ambiente di un locale di Montesarchio. Ma dove, evidentemente, aveva un appuntamento. Un locale, il "Moulin Rouge", dinanzi al quale era stata ritrovata, dopo poco più di ventiquattro ore, la sua Opel Vectra, regolarmente chiusa a chiave e con l'allarme attivato. Elementi che, aggiunti al rinvenimento del telefonino nel cassettino portaoggetti, avevano fanno ritenere che fosse giunto nella cittadina caudina e che poi fosse salito su un'altra auto per incontrare qualcuno. Gli investigatori avevano sequestrato il computer che utilizzava, nella speranza di rintracciare qualcosa che potesse aiutare a capire.

Ad ottobre una troupe della trasmissione "Chi l'ha visto" era rimasta per due giorni nel Sannio, intervistando la consorte, i genitori e l'amico al quale, come detto, aveva telefonato. La messa in onda del servizio aveva fatto scattare una segnalazione, poi risultata infondata, di un'assistente sociale in pensione, di Caserta, che aveva riferito di essere quasi certa che l'uomo notato in mattinata- era, a suo dire, in compagnia di una donna dall'aspetto volgare che lo tirava per un braccio nei pressi di una cabina telefonica - fosse lo stesso ritratto nella foto mostrata, in serata, dagli schermi di Rai 3. Non erano mancate voci ed ipotesi, sulla scena era apparsa – in base alle testimonianze - una donna bionda e con una Renault 5 vecchio tipo che era stata vista ad Apice. Poi, nel gennaio del 2011, la dichiarazione di morte presunta pronunciata dal Tribunale su richiesta della moglie di Enrico.

Infine, a distanza di due anni e quattro mesi - il 10 dicembre del 2001-, il delitto di Carmine Mirra, 39 anni, un commerciante di tessuti, di San Nazzaro, che era stato freddato con tre colpi di pistola calibro 9 corto nel garage del suo appartamento ad Osnago, in provincia di Lecco, dove da qualche mese si era trasferito. Temeva qualcosa, per questo aveva lasciato il Sannio. La compagna ed un vicino avevano sentito le detonazioni, forse avevano visto fuggire gli assassini. Anche loro sono rimasti senza volto. Nei ventiquattro anni trascorsi è stata cullata l'ipotesi di tre vicende sottese da un unico movente, che non ha però mai trovato riscontri di natura giudiziaria. Un buco nero sempre più profondo.