“Siamo un Paese senza speranza”, mi ha detto al telefono, all'improvviso, un medico. Stavamo discutendo dell'assurdità dei meccanismi burocratici che moltiplicano all'infinito le 'carte', chiedendone sempre di nuove per attestare ciò che è già stato attestato. Un sistema che andrebbe smantellato, riducendolo all'osso per rendere la vita più semplice ai cittadini e a quanti potrebbero impiegare il tempo della loro competenza senza dover rincorrere logiche incomprensibili.
Per evitare di annoiarlo, non ho risposto al mio interlocutore, di cui credo di conoscere la moderazione, priva di ogni indulgenza alla facile demagogia. Ma le sue parole, evidentemente dettate dall'amarezza, mi hanno colpito. Perché pronunciate da un professionista affermato che non deve certo preoccuparsi di fare i conti con le difficoltà economiche della quotidianità. Riflettono uno stato d'animo molto più diffuso di quanto si pensi, testimoniano la dilagante disillusione di una larga fetta di opinione pubblica che, stretta nella morsa di continue emergenze, di un quadro complessivo che appare sempre più a tinte fosche, ha rinunciato a scegliere.
Anche perché non intravede la possibilità di una soluzione ai propri problemi, convinta come è dell'insufficienza dell'offerta politica. I partiti o i loro simulacri se la prendono con i giornali che, ahimè, raccontano le trame che loro stessi hanno ordito. Fanno finita di indignarsi di fronte alla pubblicazione di indiscrezioni, confidenze a mezza bocca, ma in fondo è ciò che desiderano. Perché è la formula più conveniente per sottrarsi al confronto sugli argomenti che stanno a cuore alla gente comune: un compito che li costringerebbe ad indicare la strada da percorrere, corredandola di numeri e tempi di attuazione.
Cosa fare concretamente per il lavoro, per la scuola – e non mi riferisco agli stipendi dei docenti,che pure dovrebbero essere adeguati (e non solo i loro), ma alla qualità dell'insegnamento, alla sua capacità attrattiva-, per la sanità, per migliorarne le prestazioni, per assicurare una rete di supporto a chi perde la propria occupazione, come dipendente o lavoratore autonomo? Meglio girare al largo ed accontentarsi della polemicuccia sui social, rilanciata dagli uffici stampa e amplificata dalle tv.
E' una narrazione fin troppo comoda che ha sempre pronto l'antispastico del vittimismo e del complotto per lenire ogni mal di pancia che dovesse scatenarsi. E' il segno dei tempi, di una comunicazione che agevola la parola d'ordine, lo slogan da dare in pasto a persone che, inevitabilmente, fortificano la loro idea che la politica riguardi soltanto una ristretta cerchia di addetti ai lavori interessati alle loro carriere e, al massimo, alla tutela dei clientes più fedeli.
Una tendenza che potrebbe essere invertita solo dall'autorevolezza di una proposta capace di immaginare come sarà l'istruzione tra cinque anni, come funzioneranno gli ospedali, le Asl e le amministrazioni pubbliche, come sarà organizzato il mondo del lavoro, quali saranno le risposte al degrado ed all'emarginazione.
Una qualità, l'autorevolezza, merce rarissima nei tempi che viviamo. “L'Italia ce la farà anche questa volta”, ha affermato il presidente del consiglio uscente Mario Draghi. Caro amico dottore, dai: speriamo insieme. Nel frattempo, mentre smoccolo contro la burocrazia, io incrocio le dita.