“L’adozione di valori correnti in luogo delle rendite catastali avrebbe sulla tassazione della proprietà degli immobili un impatto dirompente. L’incremento dell’imposta sarebbe del 66%, nel caso in cui si dovesse utilizzare come base imponibile il valore corrente dell’immobile, con un aumento minimo del 30% e uno massimo del 100%”. Lo afferma Matteo De Lise, presidente dell’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, presentando l’indagine della Fondazione Centro Studi dell’UNGDCEC, condotta su sette regioni italiane (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Campania e Calabria). All’interno di ogni regione sono state individuate città rappresentative e presi a campione immobili del centro e delle zone periferiche per indagare il differente impatto in funzione della collocazione dell’immobile.“La suddivisione territoriale dei risultati evidenzia una maggior crescita nelle regioni del nord (+73%), con valori che decremento spostandosi al centro (+64%) e al sud (+54%)”, analizza Francesco Puccio, presidente Fondazione Centro Studi UNGDCEC. “In particolare, l’indagine circoscritta alle singole città evidenzia un incremento minimo del 31% (Pescara) ed un incremento massimo del 134% rappresentato dalla città di Milano. Analizzando la misura dell’incremento distinguendo la collocazione, centrale o periferica, dell’immobile si evidenzia come l’effetto è più accentuato negli immobili situati nelle zone centrali (70%) rispetto alle zone periferiche (50%) a conferma del disallineamento presente nelle attuali rendite catastali”.
"Catasto a valori correnti? Poi le tasse sulla casa aumenterebbero fino a 134%"
I commercialisti: "Scelta devastante: si avrebbero aumenti incredibili"
Redazione Ottopagine