Avellino

Continua il processo che vede imputati i cosiddetti affiliati del Nuovo Clan Partenio, accusati, a vario titolo, di associazione di stampo camorristico, tentata estorsione, usura e turbata libertà degli incanti.

Si torna sulla vicenda che ruota intorno a quei lavori di restauro al castello di Bagnoli Irpino. In aula vengono, infatti, acquisite le testimonianze dei tre soci appaltatori. Dalle testimonianze non è emerso nessun elemento riconducibile ad atti di natura estorsiva. La vicenda è incardinata nella vasta mole di intercettazioni acquisite dagli inquirenti, in cui, secondo l’accusa, emergerebbe che sia stato proprio uno dei fratelli Galdieri a dare ordine di prendere accordi di natura estorsiva con le imprese appaltatrici dei lavori a Bagnoli.

Intercettazioni considerate il fondamento dell’intera inchiesta, che portò all’emissione di misure cautelari nei confronti di Pasquale e Nicola Galdieri, Carlo Dello Russo, Ernesto Nigro, Diego Bocciero, Luigi De Simone, Antonio Matarazzo, Ludovico Nittolo, Giuseppe Moscariello, Mario Rosania, Antonio Taccone, Carmine Valente, Giuseppe Giovanni Volpe, Renato Freda, Giuliana Brogna, Giuseppina Nigro, Martino De Fazio, Giuseppe Durante, Franco Ambrosone, Sabino Mariano e Pellegrino Cucciniello.

Prima del rinvio, fissato al 9 maggio prossimo, è stato ascoltato un altro testimone. Questi, secondo ciò che ha dichiarato agli inquirenti e poi confermato in sede dibattimentale, avrebbe subito una pressione usuraia del 20% al mese per i 1.500 euro chiesti in prestito.

L’intervento tempestivo dei militari impedì a diverse vittime di usura di subire altre spedizioni punitive per non aver pagato quanto pattuito con il clan. Tra le vittime anche titolari di imprese vincitrici di appalti per la realizzazione di opere pubbliche.  

Intanto si attende il 4 maggio per la prima udienza del processo d’appello di Pasquale Nando Bianco, Ferdinando Bianco, Filippo Chiauzzi ed Elpidio Galluccio, che scelsero di essere giudicati in primo grado con rito abbreviato e ricevettero una condanna complessiva di trent’anni di carcere.