2 Ottobre 2008, quasi quattordici anni fa: Zalayeta si ritrova un pallone a mezz'altezza in zona dischetto, di fronte ha la porta del Benfica e poco oltre i gironi di Europa League. E' il Napoli ruspante di Reja: risorto dalle ceneri del fallimento 4 anni prima, tornato in A l'estate precedente, a bussare alla porta dell'Europa, incredibilmente, dopo essere passato dalla porta di servizio dell'Intertoto con il Vlaznia di Scutari.
Di fronte c'è una grande, il Benfica: all'andata al San Paolo è finita 3 a 2, al Da Luz il Napoli si presenta spavaldo: è dura, ma si può fare.
Il pallone di sopra Zalayeta lo spedisce, incredibilmente, fuori: sarebbe stato il gol dell'uno a zero e avrebbe significato qualificazione. Segneranno Reyes e Nuno Gomes e finirà 2 a 0, passerà il Benfica, inaugurando una serie.
Già quasi significativo che l'origine sia proprio il Benfica, la squadra che nel simbolismo calcistico evoca finali perse e la maledizione di Bela Guttman. Quel tiro di Zalayeta, infatti, sarà esemplificativo di lì in avanti del rapporto tra il Napoli e le occasioni decisive: ci si passa di lato, vicino, ma non si centrano.
Certo, sì, con qualche eccezione: due per la verità, la Coppa Italia del 2012 e quella del 2014 (da omettere quelle ai rigori che è un altro discorso).
Già, perché dopo il tiro di Zalayeta c'è quello di Michu, che estromette dalla qualificazione Champions contro l'Atletico Bilbao. E prima ancora i primi sogni scudetto, infranti a San Siro quando la squadra di Mazzarri, Cavani, Hamsik e Lavezzi era seconda a quattro lunghezze dal Milan: abbandonando ogni velleità dopo il 3 a 0 subito contro la squadra di Allegri.
Fu la stagione del ritorno in Champions quella: alla penultima giornata contro l'Inter, già certa del secondo posto in classifica...col Napoli che vede le streghe, va in svantaggio, la riprende con Zuniga e poi torna a vedere le streghe finché l'Inter che non vuol fare da guastafeste si mette a palleggiare al San Paolo.
Champions che vede un Napoli straordinario che arriva agli ottavi e al San Paolo fa quasi fuori il Chelsea vincendo 3 a 1, con Maggio che divora il quarto gol, che avrebbe portato ai quarti, a porta vuota: al ritorno il Chelsea vincerà 4 a 1 aprendosi la strada per la vittoria finale.
E poi la Fiorentina e la tripletta di Simeone dopo aver sconfitto la Juventus a Torino, e poi un Napoli – Verona facile facile che invece diventa una trappola ed estromette gli azzurri dalla Champions, e una finale di Supercoppa praticamente non giocata contro la Juve, e poi Cagliari – Napoli, e poi Napoli – Milan. Insomma, quattordici anni di costanti palloni sparati a lato a porta spalancata o quasi.
PERCHE'? Certo, le partite si perdono. Ma si vincono pure. E in generale si giocano: perché pure questo entra in discussione. Sì perché Benfica e Chelsea valgono a livello numerico: in entrambi i casi si parla di squadre più forti, che infatti hanno vinto. Era più forte il Milan di Allegri. E anche l'Inter di Leonardo reduce dal triplete...seppur al San Paolo e con infinite motivazioni in più per gli azzurri in teoria.... ma poi?
Ma poi ci sono le stecche puntuali, a volte incomprensibili, che fanno chiedere “perché?”.
Perché perdere una partita scudetto dopo 6 minuti a Firenze, dopo aver messo le mani sul campionato una settimana prima? Certo, l'albergo e il resto della sera prima, tutto vero: com'è vera evidentemente una fragilità mentale che impedisce di isolarsi in un ambiente particolare.
Particolare da far festa dopo vittorie come quella di Torino del 2018 e “ubriacarsi” d'amore fino al day after devastante che arriva puntuale. E' stato così anche dopo Lazio – Napoli e il colpo di Fabian. E la Supercoppa persa non giocando a pallone è arrivata il 20 gennaio 2021...tre giorni dopo aver dato 6 palloni alla Fiorentina. Costanza nel fallire le occasioni decisive, costanza nel gestire l'euforia.
LA NARRAZIONE. Già, in una piazza fortemente umorale anche la narrazione fa la sua parte. Che un tifo caldo, colorato, gonfio d'amore per l'azzurro si lasci prendere non solo ci sta, è pure giusto: giusto non è che la narrazione vada nello stesso senso.
“Uomini forti, destini forti” è stato lo slogan coniato per Spalletti, allenatore notoriamente bravissimo, commentando spesso le performance con un “queste partite lo scorso anno si perdevano, ma grazie alla mentalità vincente data da Spalletti non è successo”. E' un enunciato che ha accompagnato praticamente tutti gli allenatori del Napoli (specie nei periodi di luna di miele con la proprietà) e che, semplicemente, non è vero: con Spalletti il Napoli ha perso in casa tre gare consecutive, con Atalanta (e passi), Spezia ed Empoli. In più, a curriculum, in trentacinque anni di carriera l'attuale allenatore del Napoli ha due Coppe Italia e una Supercoppa, tralasciando il periodo russo...insomma, nulla da dire sulle indiscusse e indiscutibili capacità del mister, ma è far torto alla verità narrarlo come collezionista di trofei. Un errore che d'altronde era stato commesso anche con Ancelotti (che a livello di trofei ha qualcosa in più), e che secondo una certa narrazione avrebbe dovuto solo grazie al curriculum infondere a profusione mentalità vincente alla squadra. Tutti sanno come è andata.
Stesso eccesso narrativo che spesso ha riguardato i calciatori, creando probabilmente un effetto controproducente: le aspettative di Napoli sono alte, troppo se il carattere manca. Insormontabili se una settimana prima si va in tv a decantare il carattere dei calciatori e quella successiva a dire l'esatto contrario ("Se non sai gestire la tensione devi farti da parte", che è vero...ma allora non era vera l'altra?)
IN DEFINITIVA la puntuale stecca nei match decisivi ha mille sfaccettature e probabilmente nessuna soluzione. Le soluzioni si trovano laddove qualcosa rappresenta un problema e non risulta che la circostanza sia un problema per chi oggi guida il Napoli: come l'eventuale vittoria è vista come un incidente positivo ma ininfluente ai fini degli obiettivi prefissati, la stessa accezione ha il fallimento della strada che alla vittoria porta.
E quindi resta solo il pensiero, ancor più ininfluente, di chi scrive: in una città che ha vinto alla fine solo due volte lo Scudetto vincere non è un cruccio, per quanto doloroso sia arrivarci vicino e fallire. La squadra attuale, la sua ossatura, è irrimediabilmente troppo perdente: ne ha perse troppe Insigne, ne ha perse troppe Kou, ne ha perse troppe Zielinski, ne ha perse troppe Mertens e così via. Andrà via il capitano, dovranno necessariamente andar via gli altri, senza che, come già accaduto, Spalletti o chi verrà dopo di lui se non sarà confermato si lascino ingolosire dalle indubbie qualità che questi calciatori hanno. Si torni a una squadra meno pretenziosa e più garibaldina, come ai tempi di Mazzarri, si scelgano i calciatori per carattere e per adattabilità a Napoli più che (oltre che) per piedi. 11 Lavezzi, per intenderci: a sgommare in faccia e prendere a pallonate il mondo e chissene del gol sbagliato.
Da Zalayeta a Michu al Milan: 14 anni di stecche. Il sogno è avere 11 Lavezzi
Narrazioni sbagliate e controproducenti e la vittoria che è solo un incidente positivo
Cristiano Vella