Benevento

Quattordici anni. E' la condanna stabilita dalla Corte di assise (presidente Fallarino, a latere Rotili, più i giudici popolari), esclusa l'aggravante della crudeltà, e riconosciuta la seminfermità mentale, per Loredana Morelli, 37 anni, di Campolattaro, sordomuta ed affetta da una forma psicopatologica, che il 15 settembre del 2019 aveva ucciso Diego, il figlioletto di 4 mesi.

Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, dove sono rimasti circa tre ore, la requisitoria del pm Maria Gabriella Di Lauro, che aveva proposto la pena di 21 anni dopo aver riconosciuto il vizio parziale di mente e l'equivalenza tra attenuanti e aggravanti (aveva escluso quella della crudeltà), mentre l'avvocato Antonio Zobel, legale del compagno della donna e dei familiari, parti civili, si era espresso per la dichiarazione di responsabilità dell'imputata, spingendosi a chiedere per lei il carcere a vita.

Gli avvocati Matteo De Longis e Michele Maselli, difensori di Loredana, avevano, dal canto loro, ripercorso le tappe del disagio psichico in cui la loro assistita versava già prima del gesto, puntando l'attenzione, De Longis in particolare, sulle nove consulenze e perizie psichiatriche disposte per verificare lo stato di salute della donna, di cui avevano sollecitato l'assoluzione perchè totalmente incapace di intendere e di volere, e dunque non imputabile. Poi, intorno alle 17, la decisione di primo grado su una storia terribile. Per Loredana anche il risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle tre parti civili, e il pagamento di una provvisionale di 10mila euro al compagno, e di 5mila euro per ciascuna delle altre due persone.

Il giorno in cui si era verificato il dramma, Loredana, che da mesi è ospite di una struttura per l'incompatibilità tra le sue condizioni e la detenzione in carcere, si era allontanata con Diego da Quadrelle, il centro irpino nel quale abitava, a bordo di una Opel Corsa.

Ossessionata dai sospetti, voleva raggiungere la sua famiglia a Campolattaro. Per non farsi fermare dai carabinieri, che la cercavano dopo la denuncia del convivente, aveva imboccato la Benevento -Caianello, giungendo all'altezza di Solopaca, dove la Corsa era finita contro la barriera. Era scesa, aveva preso tra le braccia il figlio, rimasto ferito, come dimostrerebbero le tracce di sangue sul seggiolino e nell'abitacolo, e l'aveva lanciato di sotto, certa che in quel punto scorresse il fiume.

Poi, intenzionata a farla finita, aveva fatto altrettanto, restando impigliata tra i rovi, come il bimbo. Lo aveva raggiunto e colpito alla testa con un pezzo di legno, ammazzandolo. Per un anno era rimasta chiusa in un silenzio che aveva rotto prima di essere spedita a giudizio. Quando, supportata da una esperta del linguaggio dei segni, aveva raccontato la sua sconvolgente versione dei fatti, ammettendo di aver ucciso Diego.

Una volta espiata la pena, la 37enne sarà sottoposta alla libertà vigilata, per almeno un anno, in una struttura psichiatrica, per seguire il programma terapeutico predisposto.
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