Castelfranco in Miscano

Chissà se nel frattempo l'attività investigativa ha imboccato la pista giusta. Quella percorsa fin qui si è rivelata a fondo cieco. Non ha prodotto alcun risultato, non ha illuminato movente ed autori dell'omicidio di Marcello Donato Nucera, 66 anni, di Castelfranco in Miscano, rinvenuto senza vita il 26 maggio del 2011. Un caso insoluto. Archiviata un anno e mezzo fa dal gip, su richiesta del sostituto procuratore Nicoletta Giammarino, quella a carico di un imprenditore agricolo, l'inchiesta è tornata al punto di partenza: chi lo ha ucciso e perchè?

Era stata la moglie a scoprire il corpo: preoccupata per non averlo visto rincasare, si era recata nel capannone alla contrada Searusso dove il coniuge allevava animali da cortile. Terribile la scena che la donna si era trovata di fronte: il cadavere del marito era più o meno in linea con l’ingresso del deposito.

Un dato che fa ipotizzare che il 66enne, padre di due figlie, conoscesse colui che poi l’avrebbe ammazzato, e che, dunque, non avesse motivo di preoccuparsi allorchè l’aveva notato arrivare. Dall'autopsia eseguita dal medico legale, la dottoressa Monica Fonzo, erano emerse alcune ferite alla testa e ad una gamba e delle contusioni alla schiena. Lesioni provocate, probabilmente, da un'arma affilata e da un corpo contundente. Una decina gli attrezzi che i carabinieri avevano sequestrato; attrezzi normalmente utilizzati in agricoltura (punteruolo, accette e roncole) e ritenuti compatibili con l'arma adoperata per colpire Nucera, la cui auto era stata trovata  a distanza dall'abitazione, nelle vicinanze della strada provinciale.

Sentito nell’immediatezza, al pari di altre persone, e poi in qualità di indagato, l’imprenditore agricolo aveva spiegato le tracce di sangue sul pantalone che indossava. «Mi sono ferito ad una mano mentre stavo lavorando in campagna, mi sono pulito sul pantalone...», aveva detto. Nell’ottobre del 2012 l’inchiesta era stata scandita da una serie di analisi disposte dal gip Maria Di Carlo  nell'ambito dell'incidente probatorio chiesto dall'avvocato Nazzareno Lanni, difensore dell’imprenditore. Le conclusioni alle quali era giunto il professore Ciro De Nunzio, dell’Università di Catanzaro, nominato dal giudice, avevano infatti consentito di stabilire che era dell'allora 57enne, che l'aveva sempre ribadito, il sangue presente sull’indumento che vestiva il giorno del delitto.

De Nunzio aveva anche accertato che le macchie ematiche che avevano sporcato tre fazzoletti rinvenuti nell’auto della vittima e sul luogo del delitto, non erano riconducibili a Nucera o all'indagato, ma erano compatibili con il profilo genetico di una persona di sesso maschile. Questo il quadro emerso al termine di un lavoro svolto alla presenza dei consulenti di parte: i professori Fernando Panarese (per l'indagato) e Pietrantonio Ricci (per i familiari della vittima, assistiti dall'avvocato Alberto Mignone), che aveva anche permesso di escludere l’esistenza di tracce di sangue su alcuni attrezzi sequestrati.

Il passo successivo erano stati i nuovi accertamenti affidati al Ris,  incaricato di analizzare alcuni materiali repertati nel capannone e nell'auto della vittima.  Un'attività che non aveva restituito alcun elemento a carico dell’imprenditore, al punto da indurre il Pm a proporre l’archiviazione della sua posizione. Richiesta accolta. Tutto da rifare.

Enzo Spiezia