Pietro è ancora lì. E lì starà per sempre. Volge le spalle al luogo dove è perito, quasi due anni fa. Pietro è altrove e un cippo funebre lo vuole ricordare lì dove il confine tra vita e morte è un filo invisibile, un confine, un reticolato. Dietro quella lapide candida c'è un paesaggio tristemente funesto. Ci sono ancora i mezzi di lavoro, quel merlo sollevatore e la mensola di ferro maledetta, gli attrezzi di una vita finita troppo presto, troppo in fretta. È inaccettabile come lo è ogni morte. Ma questa lo è ancora di più. Morire per lavorare quando si lavora per vivere o per sopravvivere.
Pietro Nuzzolo, di anni ne aveva soli 38. Morì sul colpo travolto da una struttura in ferro cha stava scaricando da un tir. Qualcosa non andò per il verso giusto. Era il 30 aprile del 2020, in piena pandemia, alla vigilia del primo maggio, una ricorrenza funestata proprio dalla tragedia sul lavoro.
Giuseppina De Furia, moglie dello sfortunato operaio non si è mai rassegnata da quel giorno triste e doloroso, quel luogo in contrada Torreamando è diventato per lei come una seconda casa, non si è mai distaccata e oggi ancora di più con la lapide del suo sposo da lei tanto desiderata dopo quella inaspettata sciagura.