L'ha ripetuto più volte: l'imputata è assolutamente incapace di intendere e di volere. Parola dello psichiatra Pierluigi Vergineo, ascoltato questa mattina nel processo, in corso dinanzi alla Corte di assise, a Loredana Morelli (avvocati Matteo De Longis e Michele Maselli), 36 anni, di Campolattaro, sordomuta ed affetta da una forma psicopatologica, che il 15 settembre del 2019 aveva ucciso Diego, il figlioletto di 4 mesi.
La deposizione del dottore Vergineo era stata chiesta dalla difesa perchè si tratta dello specialista che un anno dopo il dramma aveva ricevuto dal gip Vincenzo Landolfi l'incarico di una perizia che accertasse la compatibilità tra le condizioni della donna e la detenzione in carcere. Lui l'aveva ritenuta possibile – ha precisato che era l'unico argomento sul quale era stato all'epoca chiamato a pronunciarsi- perchè in quel momento l'allora 35enne era sottoposta ad una terapia che ne evitava forme di scompenso.
Una incompatibilità sancita successivamente, che aveva avuto come conseguenza la scarcerazione e il trasferimento presso una struttura di cui è ospite da alcuni mesi.
Il 13 gennaio del prossimo anno sarà la volta dei dottori Fernando Melchiorre ed Enrico Maria Troisi, entrambi consulenti della difesa, poi la requisitoria del Pm e l'intervento dell'avvocato Antonio Zobel, legale del compagno e dei familiari, parti civili. In una successiva udienza a febbraio, infine, le arringhe dei difensori e la sentenza su una vicenda terribile.
Come più volte sottolineato, il giorno del dramma Loredana, che una perizia psichiatrica ha definito seminferma di mente, si era allontanata da Quadrelle con Diego a bordo di una Opel Corsa. Ossessionata dai sospetti, voleva raggiungere la sua famiglia a Campolattaro. Per non farsi fermare dai carabinieri, che la cercavano dopo la denuncia del convivente, aveva imboccato la Benevento -Caianello, giungendo all'altezza di Solopaca, dove la Corsa era finita contro la barriera.
Era scesa, aveva preso tra le braccia Diego, rimasto ferito, come dimostrerebbero le tracce di sangue sul seggiolino e nell'abitacolo, e l'aveva lanciato di sotto, certa che in quel punto scorresse il fiume. Poi, intenzionata a farla finita, aveva fatto altrettanto, restando impigliata tra i rovi, come il bimbo. Lo aveva raggiunto e colpito alla testa con un pezzo di legno, ammazzandolo. Per un anno era rimasta chiusa in un silenzio che aveva rotto prima di essere spedita a giudizio. Quando, supportata da una esperta del linguaggio dei segni, aveva raccontato la sua sconvolgente versione dei fatti, ammettendo di aver ammazzato il figlio.