Dall'Unione europea arrivano notizie decisamente brutte per il comparto conciario. La Corte di giustizia europea ha infatti bocciato, bollandola come protezionista, la legge italiana che tutela i termini «cuoio», «pelle», «pelliccia» e che ne impedisce l’uso in etichetta su prodotti provenienti dall’estero, assestando di fatto un duro colpo al comparto del made in Italy. I giudici hanno stabilito la non compatibilità della legge 8 del 2013 («Nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivanti o loro sinonimi ») con la direttiva europea 94/11/ CE. Il caso era stato sollevato dall'Unione nazionale industria conciaria e dall’Unione dei consumatori di prodotti in pelle, materie concianti, accessori e componenti, contro tre aziende che avevano messo in commercio in Italia calzature con l’etichetta “pelle” e “vera pelle” realizzate però all’estero.
La legge, tra l’altro, non distingue neppure tra Stati membri dell’Ue e i cosidetti Paesi terzi, essendo inibito a tutti indistintamente di utilizzare la lingua italiana. Secondo la Corte, quest'ultima impostazione, si tradurrebbe in «misure equivalenti a restrizioni quantitative contrarie al diritto dell’Unione, poichè una presunzione di qualità collegata all’ubicazione nazionale di tutto o di una parte del processo produttivo, che pertanto limiti o sfavorisca un processo le cui fasi si svolgerebbero in tutto o in parte in altri stati membri, è incompatibile con il mercato unico». La Corte Ue sottolinea poi che la direttiva 94/11 - violata dalla legge italiana - mira a definire un sistema comune di etichettatura della calzature proprio per evitare i problemi creati dalle normative nazionali in materia che «rischiano di creare ostacoli agli scambi all’interno dell’Unione». E secondo l’avvocato generale della Ue «gli stati membri non hanno il diritto di adottare prescrizioni più rigorose» di quelle previste dalla direttiva comunitaria.
Giuseppe Aufiero