Emanuela Sica avvocato cassazionista, scrittrice, giornalista pubblicista
Con questa lettera, Signor Presidente della Repubblica, mi rivolgo innanzitutto a Lei, consapevole del Suo grande e rinomato prestigio di statista democratico ed internazionale. Ritengo che la Sua autorevolezza sia in grado - unitamente a una incisiva e forte azione del Presidente del Consiglio e del Governo - di operare efficacemente perché l’Unione Europea, in forma forte ed unitaria, a mezzo della sua Presidente, intervenga sul nuovo Governo dell’Afghanistan e, per quanto possibile, impedisca che la maggioranza della popolazione di quella martoriata nazione, ovvero le donne di tutte le età, siano ridotte in uno stato di schiavitù e di totale privazione dei più elementari diritti umani.
A nessuno sfugge che le donne dell’Afghanistan, e in particolare quelle di Kabul, con l'ingresso e la presa di potere dei Talebani, abbiano perduto le ultime speranze di essere donne libere. Sono loro le vittime sacrificali più evidenti di questa atroce violazione delle libertà fondamentali e dei diritti umani, passata inosservata per una responsabilità, severa, di tutto il mondo occidentale che se ne è, semplicemente, lavato le mani e ha abbandonato l'intera popolazione al proprio (infausto) destino.
I talebani, con la costituzione dell’Emirato Islamico, hanno in cantiere di annientare le energie delle donne, la loro voglia di studiare, di lavorare, di pensare, d’intraprendere, di scrivere, d’insegnare. Quel mondo ritorna, incredibilmente, dopo essere stato illuso, verso il buio.
Da Kabul arrivano immagini di vernice bianca usata per coprire volti femminili scoperti, o pubblicità di parrucchieri e di centri estetici. Tutto questo è il preludio al ritorno del più pesante burka, della ghettizzazione, oltre all'ingresso di nuove violenze e umiliazioni senza più limiti e spettatori. Nelle città conquistate scuole e università sono state già chiuse alle donne, molte sono state rimosse dai loro luoghi di lavoro. Inoltre, sui canali social che sostengono il nuovo autoproclamato Emirato islamico dell’Afghanistan, gli Stati Uniti vengono accusati di aver diffuso costumi sessuali “depravati” come l’omosessualità. Ma questo è solo l’inizio.
Accadrà che nostre “sorelle”, vittime fino a ieri della guerra, ora saranno vittime della pace; accadrà che saranno fustigate o addirittura uccise per la recrudescenza di un vecchio "crimine”: ossia aver lasciato scoperto il proprio viso. Oggi le donne non possono più esercitare una professione come quella del giornalista, non posso scrivere sotto il loro vero nome o dire da dove vengono o dove si trovano. Intere vite sono state cancellate in pochissimi giorni. Le donne non sono più al sicuro, i talebani, stando alle testimonianze, stanno costringendo le famiglie a consegnare le loro figlie ai soldati; viene imposto di non uscire più di casa senza un accompagnatore di sesso maschile, di scegliere i propri vestiti. Inoltre, in diverse città, miliziani talebani rapiscono tutte le persone di sesso femminile tra i 12 e i 45 anni, con l’intenzione di renderle schiave sessuali per il gruppo armato. Anche gli account social vengono man mano oscurati.
Nonostante i leader talebani abbiano più volte dichiarato che le donne avrebbero continuato ad avere pari diritti secondo la legge islamica, compresa la capacità di lavorare e di essere istruite, le testimonianze che arrivano dimostrano che sta accadendo l’esatto opposto.
Sono convinta, assolutamente certa, di poter dire che noi italiane oggi siamo tutte donne afgane e che la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica italiana e il Parlamento della Repubblica, nei suoi dure rami, farà sentire prestissimo, in modo forte ed inequivocabile, la sua voce a favore di una causa libertà, dignità e rispetto del valore della persona umana, quale quella delle donne Afgane. A tal fine mi permetto, rispettosamente, di sollecitare, convinta che ciò accadrà, un’iniziativa immediata dei Presidenti del Senato e della Camera perché, nel giro di pochi giorni, il Parlamento Italiano possa esprimersi su questa drammatica e bruciante questione, in senso univoco e netto.
Per quel che mi riguarda, con le mie limitate possibilità ed energie, metterò in campo tutte le energie per non far cadere l’oblio su questo nuovo olocausto femminile.