Riceviamo e pubblichiamo l'intervento dell'avvocato Gino De Pietro
"Mi accingevo a scrivere dell’esaltante, straordinaria, incredibile vittoria dell’Italia nella finale della staffetta 4x100 delle Olimpiadi di Tokyo, quando la scorsa alle ultime notizie sul web mi ha fatto imbattere in un fatto che ha del tutto attratto la mia attenzione – così spero anche la vostra.
Una famigliola, complice il periodo, siamo ormai in pieno Agosto, e il torrido caldo, arriva al mare, nei pressi di Ladispoli, non propriamente le Maldive o la Sardegna. I bambini corrono in acqua, il mare non è calmo, non è amico, il padre, sessantaquattrenne, capisce il pericolo per i suoi figli, otto e sei anni, corre, si tuffa, li prende, li porta a riva, li salva e, sul bagnasciuga, muore.
Una tragedia, nata da una giornata a mare, sorta da una volontà, anche minima, modesta, semplice, di svago, di festa, di gioia in famiglia.
Una tragedia compiuta: un uomo è morto: annegato o d’infarto, non conta: è morto per salvare i suoi figli dalla morte.
Ma, ancor più, una tragedia sventata: due bambini innocenti, vittime solo del loro entusiasmo infantile, salvi, salvati dal padre, da quell’uomo ormai senescente che, secondo alcuni tribunali severissimi (anche se vi si prescrivono perfino le violenze carnali) non avrebbe dovuto avere figli così piccoli alla sua età.
Una volta tanto il Fato non è stato così crudele: è morto il padre, di sessantaquattro anni, se fosse stato di queste parti, forse avrebbe frequentato il Liceo nei miei stessi anni qualche classe avanti; sono salvi i due figli, la somma delle cui età raggiunge a stento i quattordici anni. Non è stato il padre a seppellire i figli – evento contro natura – ma saranno i figli, anche se inconsapevoli, o quasi, della tragicità del loro destino - a seppellire il padre, come è giusto e naturale che sia.
In un mondo in cui siamo costretti a raccontare e a leggere di padri e madri che ammazzano i figli o che si ammazzano tra loro, questa volta la narrazione è diversa: due bambini escono sani e salvi da una brutta avventura grazie al sacrificio del loro papà, era vecchio, secondo i calcoli aritmetici degli anni, ma era pronto a correre, a gettarsi in mare e a nuotare fino alla morte pur di portare in salvo i suoi figli, i suoi cuccioli di uomo in pericolo. È ciò che, naturaliter, fa un padre, da che mondo è mondo e questa narrazione deve avere un senso. E il senso è che oggi, in Italia, c’è una medaglia che vale più dell’oro olimpico, ed è la medaglia dell’amore paterno giunto fino all’estremo sacrificio di sé, pur di salvare il propri cuccioli dall’abisso.
C’è solo una medaglia che vale forse di più: quella che immaginiamo di mettere al collo di quei padri o di quelle madri che proprio non sono riusciti a salvare i loro figli da un destino crudele. E’ di platino, è di altro materiale prezioso a me ignoto? Non so, so solo che ci sono quelli che, silenziosamente, la conseguono ogni giorno, senza fanfare e senza strepiti e, spesso, contro tutti.
Questo Olimpo morale inattingibile è un orizzonte arduo da commentare, perciò mi limito ad indicarlo ai miei cinque lettori".