Il pm Assunta Tillo aveva chiesto nel novembre del 2020 gli arresti domiciliari per uno e l'obbligo di dimora per l'altra, ma il gip Vincenzo Landolfi ha ritenuto adeguato un provvedimento interdittivo: la sospensione per un anno dall'esercizio dei pubblici uffici.
E' la misura applicata a Giovanni Lollo, ispettore superiore presso l'Ufficio prevenzione generale e e soccorso pubblico della Questura di Benevento, e a Maria Cantone, assistente capo coordinatore della Digos, rispettivamente difesi dagli avvocati Marcello D'Auria e Angelo Leone.
Sono stati chiamati in causa da una inchiesta della Digos che riguarda fatti che sarebbero accaduti tra il 2019 ed il 2020
Per Lollo le ipotesi di reato di peculato, prospettata in relazione ad un uso, ritenuto non istituzionale, delle auto di servizio e di un computer, e di truffa e falso, contestate per ciò che riguarda il contenuto di alcune relazioni di servizio che avrebbe redatto, le attestazioni che avrebbe sottoscritto sui percorsi effettuati ed i chilometri, sulle uscite ed il rientro dei mezzi e sulle ore di straordinario, per un importo di 75 euro, che avrebbe svolto. A suo carico anche un'ipotesi di rivelazione di segreto d'ufficio, ravvisata negli accessi alla banca dati, e di omissione in atti di ufficio.
Per Cantone i soli addebiti di truffa e falso, avanzati in materia di ore di lavoro straordinario, per un importo complessivo pari a circa 480 euro.
Nell'indagine, supportata da intercettazioni telefoniche ed ambientali, risultano coinvolti anche altri tre poliziotti, nei confronti dei quali il Pm non ha proposto alcuna misura. L'attività investigativa, corroborata dalla comparazione tra le attestazioni ed i dati restituiti dalla videosorveglianza, dal Sistema centralizzato di targhe e transiti, dalle celle telefoniche, avrebbe consentito di acquisire una serie di indizi su Lollo e Cantone, che ora potranno far valere le loro ragioni nel corso dell'interrogatorio di garanzia, offrendo la loro versione sulla vicenda.
L'ordinanza è stata adottata sul presupposto del pericolo di reiterazione del reato, nella scelta della misura il Gip scrive che l'interdizione è idonea a soddisfare le esigenze cautelari, “impedendo agli indagati di continuare ad abusare delle loro qualifiche, ed estromettendoli da contesto lavorativo pubblico di appartenenza”.