Benevento

Una riflessione sui campionati europei vinti dall'Italia, non sul versante tecnico ma dei comportamenti degli inglesi. A firmarla è l'avvocato Gino De Pietro

"Poco prima della mezzanotte, l’Italia si è consacrata campione d’Europa di calcio, battendo l’Inghilterra, a Wembley, ai rigori. La notizia è tre volte notevole: l’Italia non vinceva un Europeo di calcio dal 1968; l’ha vinto battendo in finale la squadra del paese organizzatore nello stadio di “casa” dell’Inghilterra, l’ha battuta ai rigori, dove la tradizione, fino a tempi recenti, era piuttosto negativa.

Ma non avendo alcuna competenza calcistica, non mi addentro in commenti tecnici, limitandomi a considerare che vincere una finale dopo aver subito la doccia fredda di un gol a 2 minuti dal fischio d’inizio è di per sé un segno di gran carattere della squadra, cui va il merito di una reazione controllata ma continua che ha condotto al pareggio e avrebbe potuto condurre alla vittoria anche prima dei rigori.

Essendo il calcio un fenomeno sociale e di costume, volevo invece svolgere qualche considerazione a margine, senza pretese tecniche.

Nei giorni trascorsi dalla semifinale vinta contro la Danimarca e la finale di ieri, l’UEFA ha aperto e chiuso il procedimento disciplinare contro la Federazione Inglese per l’episodio del laser puntato contro il volto del portiere danese che si accingeva a parare il rigore concesso alla Nazionale Inglese, poi trasformato.

C’è stata una dura sanzione: la Federazione è stata condannata a pagare la notevole somma di 26 mila sterline, pari al cambio a circa 30 mila euro, corrispondenti al prezzo di una manciata di biglietti di ingresso alla finale in tribuna.

Il povero Schmeichel ha rischiato una grave lesione alla vista per il comportamento criminale di un delinquente “tifoso” inglese che è andato allo stadio non per assistere ad una competizione sportiva e divertirsi ma per “combattere” insieme ad altri accoliti il “nemico del giorno” con ogni strumento: fischi, urla, petardi, sputi, minacce, schiaffi, calci e, quando non è sufficiente, col laser. Il delinquente non è stato identificato, lo stadio non è stato squalificato, la partita è rimasta valida, la federazione inglese è stata “punita” come si deve con una somma pari allo stipendio di qualche giorno di uno dei giocatori in campo. Questa la famosa giustizia sportiva.

Secondo i tecnici, al cui giudizio mi attengo, il rigore che ha permesso all’Inghilterra di arrivare in finale, neanche c’era: Mourinho docet. Perdipiù, è stato concesso con due palloni in campo senza che il gioco sia stato interrotto. Pare che l’arbitro sia sotto inchiesta federale. E’ bene attendersi una sentenza “esemplare” come quella inflitta alla federazione inglese.

Il tanto osannato tempio del calcio, Wembley, appariva ieri come una bolgia infernale, in cui il rumore proveniente dagli spalti rischiava di sovrastare perfino il commento alla partita. Oggi si sa che ci sono stati almeno 49 arresti di “tifosi” e 19 poliziotti feriti. Attendiamo gli sviluppi: probabilmente, come nelle calamità, le cifre sono destinate a salire.

Del resto cosa attendersi dai tifosi, quando i componenti della squadra, in blocco, hanno compiuto il gesto di togliersi la medaglia d’argento dal collo immediatamente dopo averla ricevuta dal dirigente Uefa, addirittura a favore di telecamere? Perché l’hanno fatto? Volevano affermare che il risultato era ingiusto? Perché poi? O la delusione di essere battuti li ha resi così rabbiosi da perdere anche il minimo fair play sportivo? Di fatto hanno mostrato agli spettatori in eurovisione il loro disprezzo per la premiazione ufficiale e la loro sostanziale “non accettazione” delle regole del gioco e del risultato. Non c’è che dire un buon esempio per i violenti, i disadattati, i frustrati che popolano spesso alcune zone degli stadi di calcio, funestandone le competizioni.

Ancor prima, lo stesso tecnico inglese, l’algido Southgate, a metà del primo tempo, quando l’Inghilterra conduceva per 1-0, non aveva perso occasione di rifischiare nell’orecchio – sperato sensibile – del quarto uomo che gli italiani, come al solito, stavano cominciando a “tuffarsi”, simulando falli inesistenti, per ottenere punizioni e ammonizioni indebite.

Di fatto, dai replay trasmessi e dai commenti dei tecnici, si è concluso, dopo un po’, che il campione assoluto di tale specialità di “tuffi” non nota alla Federazione Nuoto, ma molto in auge in Spagna come in Inghilterra nelle federazioni calcistiche, risultava proprio quello Sterling, al cui atterramento più che dubbio, era conseguito il generoso rigore a favore degli inglesi nella semifinale! Un tempo si sarebbe detto, proverbialmente “Il bue che chiama cornuto l’asino!”.

Tutto questo si può dire oggi ad alta voce e senza timore di essere irrisi, perché l’Italia ha meritatamente vinto la competizione. Sarebbe stato ben diverso se l’avesse persa: si sarebbe potuto tacciarli di risentimento rancoroso. E’ per questo che tali fatti vanno assolutamente sottolineati nelle sedi opportune ora che si è in posizione di autorevole forza, per evidenziare che i comportamenti adottati nell’ordine dai tifosi inglesi, dalle autorità di sicurezza inglesi, dall’allenatore inglese e dai giocatori inglesi sono antisportive, di disprezzo delle regole e del vivere civile e gettano disonore sulla patria della libertà e della democrazia.

Gli hooligans vanno tenuti fuori dagli stadi e possibilmente in luoghi sicuri, i calciatori devono imparare a rispettare le medaglie, di qualsiasi metallo siano, l’allenatore impari un po’ di fair play invece di cercare di cantare la solita nenia stonata. I cittadini europei si attendono dalle autorità inglesi che i loro stadi siano luoghi sicuri e non ricettacoli di delinquenti che possano impunemente accecare giocatori avversari o forse anche, se gli va, inermi spettatori, solo perché “ a tiro”.

Lo SPORT, con la lettera maiuscola, se ne gioverebbe!"