Santa Maria Capua Vetere

L'associazione nazionale dei dirigenti dell'amministrazione penitenziaria prende le distanze dai gravi fatti di violenza verificatisi nella Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Il deprecabile evento suscita sconcerto e smarrimento non solo in qualità di operatori penitenziari ma anche come cittadini appartenenti ad una Repubblica libera e democratica, consapevoli  dei principi di cui all’art. 27 della Costituzione, che specificamente statuisce: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Proprio da tale premessa nasce l’esigenza di riaccendere i riflettori sull’intero sistema penitenziario, affinché quanto occorso non abbia più a verificarsi attraverso l’individuazione di ogni correttivo necessario, essendo di tutta evidenza  che l’assetto normativo provvedi mentale ed organizzativo dell’attuale realtà penitenziaria presenta disfunzioni che determinano pericolosi squilibri, con particolare riferimento alla linea di comando.

"Di tali criticità i direttori-dirigenti penitenziari ne avevano accertato la presenza con specifico riferimento alla immissione in ruolo, nell’ambito del corpo di polizia penitenziaria, dei ruoli direttivi e dirigenziali. A tal riguardo, infatti, nonostante la costituzione, le norme, l’ordinamento penitenziario, il regolamento di servizio di polizia penitenziaria riconducessero al dirigente penitenziario - direttore d’Istituto, il ruolo di garante degli equilibri costituzionali riguardanti la funzione rieducativa della pena, con l’istituzione dei predetti ruoli la politica in generale, e l’amministrazione penitenziaria in particolare, in luogo di una definizione degli ambiti di attribuzione e competenza dei commissari e dirigenti di polizia penitenziaria hanno pensato che bastasse trasferire, come se ciò fosse possibile, nel funzionario dirigente di polizia penitenziaria, ambiti e  competenze del direttore d’Istituto, senza procedere ad una preventiva o contestuale modifica della normativa di riferimento e senza far venir meno le connesse responsabilità.

Tale equivoco funzionale ha contribuito da quel dì ad aumentare la complessità gestionale all’interno degli istituti penitenziari. Anche perché  si è consentito  che il direttore di istituto venisse sempre più percepito dalla politica, dall’amministrazione penitenziaria e dall’opinione pubblica alla stregua di un mero burocrate, responsabile solo di semplici questioni amministrativo-contabili, datore di lavoro, capro espiatorio di ogni conflittualità  sindacale, nonchè responsabile di ogni vicenda, comprese le situazioni che si prestino ad individuare colpevoli ovvero che impongano di dover gestire l'attuale emergenza covid-19.

Tali gravi disfunzioni sono evidenti già nella bozza di riordino dei ruoli e delle carriere approntata nell’ottobre 2019, costruita in danno della dirigenza penitenziaria, senza che la categoria ne sapesse nulla. I Gruppi di lavoro nei quali si è discusso della dirigenza penitenziaria hanno operato senza che vi fosse alcun componente appartenente ai direttori-dirigenti penitenziari; le copiose note sono state indirizzate direttamente ai comandanti del reparto senza il coinvolgimento del direttore; sino alla ormai notoria  circolare del 29 gennaio 2021, trasmessa a firma del capo della polizia di stato Gabrielli, sulle modalità operative della gestione delle rivolte in carcere, nella quale viene azzerata la figura del direttore, traslando, ad onta di quanto normativamente previsto, la gestione delle stesse al comandante del reparto, lasciando però residuare in capo al direttore, ogni molteplice e consequenziale  responsabilità.

I direttori-dirigenti penitenziari, consapevoli dell’importanza della funzione a loro attribuita nel tempo dal legislatore, nonostante la delegittimazione perpetrata in loro danno, hanno continuato a porre in essere tutto ciò che è normativamente previsto, senza mai tirarsi indietro, poiché assolutamente consapevoli dell’importanza del  ruolo ricoperto per il mantenimento del sistema.

Mai rimasti in silenzio, si è nel corso dei mesi denunciato il pericolo di un agire amministrativo disciplinato unicamente attraverso circolari e provvedimenti in contrasto con le disposizioni normative, unitamente al rischio che ciò potesse determinare.  In particolare, con la nota del 29 ottobre del 2020, ad oggi rimasta inevasa, indirizzata all’allora capo del dipartimento, presidente Basentini, si erano rappresentate le pericolose incongruenze che la bozza di riordino innanzi richiamata, creata ad arte in danno dei direttori-dirigenti penitenziari, e mai resa nota,  potesse determinare.

In particolare,  si faceva notare che  un legislatore  attento ad assicurare una conduzione degli istituti penitenziari rispondente a principi di equità e umanità, avesse ritenuto di affidare al direttore dell'istituto, organo super partes terzo e imparziale, il ruolo centrale di garante della legalità. Principio riaffermato in sede europea con la raccomandazione R (2006)2 del comitato dei ministri degli stati membri del consiglio d'Europa sulle regole penitenziarie europee cui il sistema penitenziario deve continuare a conformarsi.

Richiedendo che il direttore  di istituto penitenziario fosse organo di vertice non poliziotto né pedagogo. Il depotenziamento del ruolo del dirigente penitenziario, direttore di Istituto, attuato con il predetto decreto, sottraendogli talune prerogative -fondamentali per governare con equilibrio e terzietà la difficile e complessa realtà penitenziaria - ha significato non solo violare i principi posti a base della normativa  di riferimento, ma anche creare una pericolosa alterazione degli equilibri gestionali, senza, per contro, lasciarne intravedere i vantaggi.

Ha significato minare la governabilità degli istituti penitenziari, attesa la indefettibile funzione di coordinamento del direttore rispetto alla coesistenza delle diverse aree interne al sistema "carcere" (trattamentali, amministrative, contabili), che devono necessariamente interagire con quella di sicurezza e i cui operatori non possono, riferirsi al comandante di reparto quale proprio vertice. Si é altresì denunciato che il voler sottrarre ai dirigenti penitenziari alcuni campi di azione amministrativa, riservandoli in via esclusiva ai dirigenti del Corpo (potere disciplinare, variazione dirigenziale, partecipazione nelle commissioni selettive del personale, partecipazione ai consigli di disciplina del personale, posti e funzioni di dirigenza generale), avrebbe significato non solo dimenticare l'equiparazione ope legìs sopra richiamata, ma anche delegittimare, peraltro ingenerosamente, l'intera categoria dirigenziale penitenziaria, che, sino ad oggi, ha svolto quelle medesime funzioni consentendo all'Amministrazione di raggiungere ogni suo obiettivo istituzionale.

Infine, si è anche auspicata l’apertura di un momento di dialogo e confronto, finalizzato all’esame  dei necessari emendamenti da presentare nelle competenti sedi parlamentari, preoccupati del rischio di una pericolosa deriva securitaria del carcere. Di tali preoccupazioni nessuno si è occupato, divenendo l’intera categoria di direttori-dirigenti penitenziari destinatari di numerosi comunicati sindacali da parte delle organizzazioni di polizia penitenziaria, con particolare riferimento al sindacato riguardante la DirPolPen, ovvero il sindacato di dirigenza della polizia penitenziaria. Con tali comunicati si è  mirato a ricondurre alla incapacità del direttore penitenziario tutto il fallimento del sistema carcere. Contro la categoria  dei direttori  non sono mancate affermazioni ai limiti della diffamazione, cui si e risposto unicamente con il silenzio, continuando ad operare con spirito di servizio, per concorrere al raggiungimento delle finalità di umanità e rieducativa   della pena, nel rispetto  dello spirito della costituzione  e dei diritti fondamentali  della persona detenuta."