Stato e Chiesa nel pensiero di Francesco Ruffini è l’opera ultima di Gemma Iannuzzi, poetessa di Castel Baronia, laureata in Giurisprudenza.
Si tratta di un saggio storico-giuridico che nasce dalla sua tesi di laurea in Storia delle Dottrine Politiche. L'interesse di Francesco Ruffini per la libertà religiosa rappresenta il punto di unione di tutta la sua trattazione. Infaticabile ed assidua la sua indagine sull’evoluzione storica di una questione tanto studiata da
pensatori e scuole differenti. Ma non solo di indagine storica si tratta. Il fatto è che il tema della libertà religiosa risulta strettamente legato al campo del diritto, poiché la libertà religiosa si esplicita nella enunciazione ed attuazione di un principio volto alla regolamentazione di rapporti intersoggettivi e sociali.
Ruffini fu uno dei padri del diritto ecclesiastico italiano; è nella sua attività di ricerca storica che vengono
riconsiderati dal punto di vista giuridico molti dei temi già affrontati nel fondamentale studio intorno all’idea di libertà religiosa.
Così l’autrice: “La questione della libertà religiosa si è imposta all’attenzione degli studiosi precisamente quando la convivenza tra due o più fedi religiose si è associata a forme di esclusivismo intollerante tali da innescare gravi atteggiamenti persecutori. Tanto più si affermava il principio del pluralismo organizzativo
all’interno dei corpi sociali, quanto più dilagante ed aggressivo diveniva il fanatismo degli intolleranti.
La libertà religiosa storicamente esaminata può essere compendiata nell’analisi di tutte le lotte che presiedettero all’affermazione giuridica della libertà religiosa su quello inverso dell’esclusivismo intollerante. Credo che l’attualità dell’insegnamento di Francesco Ruffini risieda non tanto nell’invito a trattare la sistematica del diritto ecclesiastico in chiave di legislatio libertatis, principio ormai consolidato, quanto piuttosto nella sollecitazione a riflettere sul rapporto tra eguaglianza e libertà senza intaccare il principio giuridico.
Ecco, la storia di Francesco Ruffini è percorsa da sensibilità moderna, che ritrae i contorni vividi e robusti di ideali irrinunciabili, che mai s’inginocchiarono davanti alla recrudescenza delle imposizioni, né si pietrificarono davanti al nemico delle libertà. D'altronde, la sostanza delle questioni del contendere è sempre la stessa, riferita cioè all’equilibrio tra libertà ed autorità, sebbene si riproponga sotto tempi, storie e figure diverse.
Così Gaetano Pecora, stimato scrittore, docente ordinario di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università degli Studi del Sannio, nonché relatore di tesi di Gemma, nella prefazione che concede al libro:
“E’ precisamente dall’idea che la libertà o è uguale patrimonio per tutti o non è, e che se è privilegio di qualcuno è menomazione per altri, è precisamente da questa idea che Ruffini ha distillato i succhi della sapienza laica. Ed ancora: La misura ed il ritmo, ossia il nitore dei concetti e l’esposizione consequenziale dei loro sviluppi: sono queste due virtù che impreziosiscono il libro e che fanno corona alla paziente dedizione con cui Gemma lo ha scritto.
Una pazienza, sia permesso di aggiungere, che vorrei dire “doppia”. Intanto la pazienza di chi ha dovuto frugare nelle pieghe di un magistero, quello di Ruffini, mai liscio e continuativo, sempre seghettato da rientranze e sporgenze; e poi la “pazienza santa” di chi ha sopportato per tempo non breve le pignolerie e la tignosità di un docente poco accomodante e per niente indulgente”. Il quale docente però ha richiesto tutto quello che Gemma poteva dare perché sapeva che avrebbe dato tanto e bene”.
Il libro di Gemma Iannuzzi è dedicato ad Angelo Bardaro, un operatore sanitario venuto a mancare a soli 24 anni a causa di un incidente stradale, cui Gemma era particolarmente legata. Da qui, l’idea di devolvere il ricavato interamente alla Suap di Bisaccia, la speciale unità per l’accoglienza permanente dei pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza, presso la quale Angelo prestava servizio. Si tratta di una struttura residenziale sanitaria di tipo extra ospedaliero ad alta intensità assistenziale, destinata ad ospitare persone in stato di bassa responsività con un quadro di totale non autosufficienza.
Il ricordo di Gemma: “Angelo mi ha insegnato quanto sia importante offrirsi agli altri pur avendo il cuore triste. La silenziosa dedizione con cui svolgeva la sua missione è stata encomiabile. Prioritaria per lui, era la speciale comunicazione terapeutica con le persone prima, con i pazienti poi. Il miglior modo per onorare la sua memoria mi è parso quello di aiutare, come era solito fare lui, i soggetti più fragili, i soli, gli spaesati.
Questa la commovente poesia che si legge ad introduzione del libro:
Ad Angelo,
Vai ricordato vivo,
Anima e cuore desideranti.
Va ricordata l’eredità che ci hai lasciato.
Ci siamo scambiati la pelle graffiata
In questo tuo essenziale transito terreno.
Sta crescendo come il vento
Questa nostalgia che tutti abbiamo di te.
La tua assenza pesa come velluto,
Come una dimensione dilatata, nuova,
alla quale non ci si può abituare.
Il dolore comunica con il silenzio del cielo,
con un mondo informe che pur dovevi ancora scoprire,
nel caos e nei colori.
Dalla memoria di te si sprigiona la bellezza,
senza veli, né infingimenti.
Mi piace pensare ai tuoi occhi:
Dominano regalmente le nuvole, ora.
Caldi, esse stanno, calcando
sugli accenti turpi e freddi
dei nostri pensieri.
Un ringraziamento particolare ed affettuoso va Pompilio Dottore, la cui collaborazione in fatto di ricerca di documenti storici, ha fatto sì che questa pubblicazione acquistasse pregio. Non solo, con grande spirito di abnegazione, mi ha offerto la sua esperienza con l’entusiasmo di chi ha brama di ornare al sol fine di far circolare la cultura.
Ciao Angelo,
Son trascorsi mesi da quando te ne sei andato, senza giustizia, né senso. Ho
raccolto tra le mani questo diluvio d’argento venuto a notte alta. Non lo potevo
credere, non lo volevo credere. Ora che mi è impossibile dirtelo a gran voce ti
svelo che sei ancora qui. Sei qui per le strade di questo paese, in sella alla tua
moto e nel suo rombo, con i pensieri mischiati al fragore del tuo passaggio. Sei
ancora qui, nei discorsi ingarbugliati o motivazionali che provano a
somministrare carezze e qualche parola di fiducia nel futuro; in questo futuro
logorato e sfinito dal duolo. Sei qui negli oggetti che hai cubicato, cui dedicavi
tempo e passione e che ora rendono pieno e sazio lo spazio che abito. Sei qui
davanti a me, che mi dici di premere sulle mie ambizioni e di non
preoccuparmi, più del giusto, dei colpi di frusta della vita. Sei qui, con il tuo
garbo, che m’insegni che l’opera umana più bella è di essere utile al prossimo
debole, al prossimo necessitante o manchevole. Sei qui, nelle memorie che
vado a visitare quando la smisurata nostalgia invade ogni fibra e rende il mio
raziocinio debilitato. Sei qui, tra le righe che sto scrivendo, che mi dici “Ma
perché? Al giorno d’oggi c’è ancora qualcuno che legge Montale? Se vedesse
ora gli strumenti della comunicazione rivoluzionaria si rivolterebbe nella
tomba! Siamo la generazione dei muti”. Quanto fervore nelle tue esternazioni,
e quanta veemenza nelle tue intenzioni. Il repertorio dei ricordi è saturo: una
valigia che ha portato etichette di tanti posti. Tanto e altro potrei dire, insisto
nel ricercarti nei sogni o tra i miei larghi indugi; vorrei prenderti un’ala e
sentirla scricchiolare in questo silenzio assordante. E’ stato un onore averti
così vicino, fino all’ultimo gradino; godere della tua stima e delle tue
confidenze. Sei stato scelta e comunicazione. Sarai sempre con me, infilato nel
petto con mano sartoriale. Nulla sarà frantumazione e polvere. E' così difficile
accettare questa solitudine in ascesa che mi hai lasciato. So che mi conforterai
in tutto il suo tratto. Mi guiderai con le tue visite mute tenendomi per mano
fino al lampo che sta in cima e che abbaglia. Ora sigillo questa lettera e te la
metto da parte, perché è vera soltanto la lontananza. Ed a te, mio
indispensabile ascoltatore, dico: Stàmpati tutte le parole nella fluente infinità
che ti aureola, abbi cura di me, di noi.
Ti voglio bene, Gemma