Si è rivolto inizialmente ai sei giurati popolari (gli altri due, supplenti, non partecipano alla camera di consiglio) che compongono la Corte di Assise presieduta dal giudice Daniela Fallarino – a latere la collega Simonetta Rotili -, invitandoli a compiere “un atto di coraggio”. A pronunciarsi per l'assoluzione del suo assistito, che l'avvocato Angelo Leone ha chiesto per Giuseppe Massaro, 57 anni, di Sant'Agata dei Goti.
E' uno dei due imputati dell'omicidio di Giuseppe Matarazzo, il 45enne pastore di Frasso Telesino ammazzato a colpi di pistola la sera del 19 luglio del 2018 dinanzi alla sua abitazione alla contrada Selva. Lui è accusato di aver fornito lla 357 magnum usata per il delitto e la Croma che avrebbe guidato Generoso Nasta, 32 anni, di San Felice a Cancello.
Per entrambi il pm Francesco Sansobrino ha proposto la condanna all'ergastolo, supportato dalle conclusioni dei legali delle parti civili – gli avvocati Antonio Leone e Tullio Tartaglia -, al termine di una requisitoria che il difensore di Massaro ha cercato di smontare. Evidenziando, innanzitutto, "l'assenza di un movente", che a suo dire "non può essere né quello economico prospettato- i 13mila euro che avrebbe ricevuto- né la vendetta, perchè Massaro non aveva alcun motivo di astio nei confronti della vittima", che, un mese prima di essere uccisa, aveva terminato di scontare una condanna a 11 anni e 6 mesi perché riconosciuto responsabile di abusi sessuali ai danni della 15enne che il 6 gennaio del 2008 si era tolta la vita impiccandosi ad un albero. Una vicenda terribile che gli inquirenti ritengono faccia da sfondo all'omicidio.
L'attenzione di Leone si è poi concentrata sulla macchina, per dimostrare, analizzando secondo per secondo il lasso di tempo emerso dai tabulati telefonici e dal Gps, che non è quella dei killer. Un ragionamento fondato anche “sull'approssimazione dei dati del Gps” e su una circostanza che ha valorizzato: la testimone oculare “riconosce un veicolo di colore marrone come quello che aveva rischiato di finire contro il cancello della sua casa, mentre la Croma è nera o grigio antracite”.
E ancora: il legale ha sottolineato la “mancanza di attività investigativa sulle piste alternative” che pure si erano profilate. Come quella contenuta in una intercettazione, che avrebbe voluto fosse trascritta, inviata dalla Dda alla Procura di Benevento, relativa ad un santagatese che, parlando con un interlocutore, aveva affermato di aver ricevuto la proposta di uccidere Matarazzo per 20mila euro. Lui aveva rifiutato, il suo interlocutore avrebbe poi contattato i “guagliuncielli” ed un altro uomo, al quale avrebbe dato 25mila euro.
Quanto all'arma, Leone ha ribadito che "la pistola rinvenuta a distanza di oltre un mese nell'abitazione di Massaro, che la deteneva legalmente, non è quella che ha fatto fuoco”. Una convinzione corroborata dalle valutazioni del suo consulente balistico, Alberto Panza, secondo il quale non è stata provata l'identità della pallottola, perchè la comparazione con il proiettile test non è stata eseguita secondo i requisiti minimi richiesti.
Sulla “lacunosità delle indagini e le numerose incongruenze emerse dall’esame della testimone oculare”, principale teste d’accusa per quel che riguarda la posizione di Nasta, ha battuto l'avvocato Orlando Sgambati, per il quale il suo assistito è completamente estraneo ai fatti.
“Il desiderio, assolutamente comprensibile, di assicurare i colpevoli alla giustizia – ha affermato - determina un grave errore, concretizzatosi nel non aver effettuato ulteriori accertamenti che, ove mai fatti, avrebbero evitato l’arresto del predetto. Non si fa riferimento alle piste alternative, ma a mancati approfondimenti investigativi”. Perchè – ha proseguito - “una volta individuato il Nasta come soggetto asseritamente alla guida dell’auto dalla quale sarebbero stati esplosi i colpi che attinsero mortalmente la vittima, sarebbe stato doveroso esperire ulteriori accertamenti. In particolare, provare a rintracciare tracce biologiche dell'imputato all’interno dell’auto che,secondo l’impostazione accusatoria, avrebbe guidato (si pensi a un capello, a una fibra dei capi di abbigliamento indossati, alle svariate impronte digitali che avrebbe lasciato ove mai fosse stato effettivamente il conducente del veicolo). Tutto ciò non risulta essere stato fatto, nonostante il sequestro dell’auto”.
Ecco perchè, “sotto tale profilo, è di palmare evidenza che le indagini effettuate prestino il fianco a qualche perplessità, con la ovvia conseguenza che i dubbi, evidenti fin dalla fase delle indagini, lungi dall’essere fugati sono, in realtà, acuiti”. Secondo Sgambati, “la richiesta di ergastolo non potrà essere recepita anche e soprattutto per le dichiarazioni della testimone, che si caratterizzano per profili di genericità nella fase delle indagini (è lei stessa, infatti, a dire di non essere sicura del riconoscimento effettuato, dando la percentuale del 70/80%) e per profili di mendacio in sede dibattimentale. Sotto quest’ultimo profilo, pare opportuno evidenziare che la teste, nell’indicare il momento in cui avrebbe visto e memorizzato i tratti somatici del soggetto alla guida dell’auto, parla di una manovra di retromarcia che rappresenta l’antefatto della successiva individuazione fotografica”.
Una manovra di retrocessione “che è, tuttavia, seccamente smentita dal Gps e, indirettamente, dalle deposizioni rese dai carabinieri. Essendo smentito per tabulas che l’auto vista dalla testimone abbia fatto la anzidetta manovra ( presupposto, lo si ripete, della successiva individuazione fotografica ), perde di valore e di credibilità tutto il narrato.In definitiva, non è in dubbio che la signora abbia visto, quanto cosa sia riuscita a vedere”.
Si torna in aula il 28 aprile: spazio agli interventi degli avvocati Mario Palmieri, per Massaro, e Angelo Raucci, per Nasta, e alla sentenza.