Oltre 100 indagati e 45 misure cautelari: questi i numeri della maxi operazione "Febbre oro nero" eseguita questa mattina dai carabinieri e dalla guardia di finanza, coordinata dalle Dda di Potenza e Lecce per ingenti profitti illeciti ottenuti con il contrabbando di prodotti petroliferi. Nel mirino le province di Salerno, Brescia, Napoli, Caserta, Cosenza e Taranto.
Sono 37 le persone arrestate, 21 in carcere e 16 ai domiciliari. Altri 6 indagati sono stati raggiunti da divieti di dimora e due da interdittive per l'esercizio delle proprie funzioni. Altre 71, inoltre, le persone denunciate a piede libero. Le accuse sono di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata alla frodi in materia d'accise e iva sugli olii minerali, intestazione fittizia di beni e società, e truffa ai danni dello Stato.
Le indagini hanno fatto emergere distinte ma collegate presunte organizzazioni criminali operanti nei distretti di Lecce e Potenza, nel Vallo di Diano e nella Provincia di Taranto. Coinvolte, tutte, con importanti famiglie mafiose, riconducibili al clan dei casalesi ed ai clan mafiosi tarantini, il cui core business era rappresentato da un contrabbando di idrocarburi. Secondo le indagini delle fiamme gialle, l’illecita attività avrebbe fruttato circa 30mila euro ogni anno grazie al contrabbando dei prodotti petroliferi, con le frodi sull'Iva e l'evasione delle accise.
Per l'esecuzione delle due distinte ordinanze sono stati impiegati 410 uomini. Tra gli arrestati ci sono esponenti della famiglia casertana Diana, di San Cipriano d'Aversa, ritenuta vicina ai Casalesi, e già coinvolta nell'operazione ''Re Mida'' della Procura di Napoli contro il traffico di rifiuti mentre in provincia di Taranto è coinvolto il cosiddetto gruppo Cicala.
Il carburante partiva dal deposito come gasolio per uso agricolo per poi essere immesso, attraverso false documentazioni, nelle cosiddette “pompe bianche”. La differenza tra le due miscele è soltanto cromatica, ma quello agricolo gode di alcune agevolazioni fiscali che ne abbassano leggermente il prezzo.
"In concreto, i tarantini, oltre che per il raggiungimento delle proprie finalità, fornivano ai lucani periodicamente, un elenco di nominativi le cui identità fiscali e i libretti UMA venivano clonate in modo che le imprese del sodalizio campano/lucano potesse fatturare fittiziamente la vendita del carburante per uso agricolo a tali, ignari, imprenditori agricoli, mentre i realtà il prodotto veniva venduto in nero a operatori economici che lo immettevano fraudolentemente nel mercato per autotrazione con guadagni di circa il 500/0 sul costo effettivo di ogni litro di benzina e nafta venduti. Una vera e propria miniera di oro nero. " La ricostruzione della procura.
Sul versante lucano l’indagine dei carabinieri di Sala Consilina e guardia di finanza di Salerno si è concentrata sulla posizione della società di carburanti del Gruppo Petrullo, di San Rufo. Dai controlli è emerso che il boom economico della ditta coincideva con l’ingresso nella società dei componenti della nota famiglia casertana dei Diana che si era, così, infiltrata nel tessuto economico-sociale del Vallo di Diano, stringendo a questo scopo un patto con il titolare della società Petrullo, divenuta avamposto dei Casalesi.
"Tra i due gruppi criminali, dopo una stretta e proficua collaborazione, sono via via sorte forti fibrillazioni, soprattutto legate al fatto che il Petrullo, resosi conto di aver quasi completamente perso la concreta gestione della propria società (ormai di fatto in mano ai Diana), aveva tentato di accordarsi in segreto con i tarantini. Tali attriti (era stato perfino assoldato un killer per uccidere Raffaele Diana, tentativo poi abbandonato) non sfociati in una vera e propria “guerra” solo in ragione del mutuo interesse a non sollevare eccessivi allarmi sulle attività illecite perpetrate, estremamente lucrose per entrambe le parti." Scrivono dalla procura.
Tra gli arrestati risulta anche un carabiniere "infedele", fino al 2019 in servizio in provincia di Salerno che, in cambio di svariate taniche di gasolio, poi vendute a terzi, avrebbe fornito al sodalizio informazioni sulle indagini in corso. Il militare, ora in carcere, già all'emergere del suo coinvolgimento era stato trasferito in un'altra provincia, con incarico non operativo. E' finito agli arresti domiciliari, inoltre, un dipendente del consorzio di bonifica dei bacini del Tirreno Consentino per un presunto accordo irregolare ad una gara per la fornitura di carburanti.
Quattro società operanti nel settore degli idrocarburi e altri otto compendi aziendali sono stati sequestrati, oltre a denaro contante, veicoli, camion, autocisterne, immobili e beni di pertinenza di alcuni indagati, per circa 50 milioni di euro.