Salerno

L'indagine portata a termine all'alba di oggi dai carabinieri del comando provinciale di Salerno ha impedito che il Vallo di Diano diventasse una nuova terra dei fuochi. Ne sono convinti gli investigatori che hanno coordinato l'attività che, all'alba di oggi, ha portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette persone (una in carcere, cinque agli arresti domiciliari ed una sottoposta all’obbligo di dimora). Il provvedimento emesso dal gip del Tribunale di Potenza su richiesta della Dda è stato eseguito dai carabinieri del comando provinciale di Salerno e ha riguardato un 78enne (in carcere) di Sant'Arsenio, un 59enne di San Pietro al Tanagro, un 58enne di Sassano, un 39enne di Salerno, un 31enne di Sant'Arsenio (ai domiciliari), e un 28enne di Sala Consilina (obbligo di dimora). Gli indagati sono tutti ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e inquinamento ambientale. Il 78enne finito in carcere è stato già oggetto di numerose indagini in materia ambientale che gli avevano valso il soprannome di “Re Mida” dei rifiuti.

Le attività, condotte dal Nucleo Investigativo di Salerno e dalla Compagnia Carabinieri di Sala Consilina, costituiscono un autonomo filone dell’inchiesta denominata “febbre dell’oro nero”. Gli accertamenti eseguiti hanno permesso di appurare che il 78enne aveva l'esigenza di individuare nell’area del Vallo di Diano ed in quelle limitrofe della Basilicata nuovi terreni che non dessero adito a particolari sospetti e che fossero ben collegati con gli assi viari principali, per facilitare le operazioni di trasporto. Dai successivi approfondimenti sono emersi comportamenti illeciti riconducibili a una società di Polla operante nel settore del ferro e dell'alluminio e una di Sant'Arsenio attiva nel settore del cemento (entrambe sottoposte a sequestro preventivo) che si sarebbero rivolte all'ex “Re Mida” per smaltire in maniera più vantaggiosa i rifiuti.

L’organizzazione è risultata particolarmente pericolosa per avere piena disponibilità di terreni di proprietà degli indagati, i cui fondi sono stati trasformati in discariche - costituite per la maggior parte da liquami composti da acidi.

Nell’ottobre 2019, sono stati così intercettati e sequestrati 18.000 (diciottomila) litri di solventi chimici pronti allo sversamento nel Comune di Atena Lucana. La pericolosità di questi rifiuti era ben nota agli indagati, uno dei quali, addirittura, se ne lamentava al telefono con i propri complici facendo riferimento al fatto che il liquido trasportato aveva corroso la vernice del proprio veicolo. Le successive operazioni di scavo, campionatura ed analisi svolte assieme all’ARPAC hanno quindi permesso di certificare come il terreno fosse stato avvelenato da precedenti sversamenti. Situazione già peraltro ben evidente dalle fotografie aeree eseguite con droni, le quali palesavano nei terreni oggetto di sversamento chiazze colorate che hanno poi guidato con successo le operazioni dell’ARPAC, i cui esami evidenziavano la presenza di rifiuti speciali pericolosi rientranti nella categoria “HP 14 Ecotossico”.

Quanto rilevato assume connotati di drammatica importanza nella misura in cui il territorio interessato è qualificato area naturale protetta, essendo parte della Riserva Naturale Foce Sele - Tanagro.

In tale maniera si è quindi impedito che l’organizzazione allargasse il proprio raggio d’azione ad altri siti, in parte già individuati nel Comune di Tursi, in provincia di Matera e in parte oggetto di una pianificata espansione ancora a livello embrionale nella provincia di Foggia.

Solidi riscontri al quadro probatorio già delineato sono arrivati dalle dichiarazioni fornite da uno dei complici non inserito nei destinatari di misura cautelare, altrettanti se ne prevedono dalle successive attività di scavo che la D.D.A. intende avviare nei prossimi giorni.