Mirabella Eclano

Cos'è la ricerca della giustizia “oltre ogni ragionevole dubbio”? Potrebbe essere materia di lectio magistralis dei più illustri giuristi italiani, da secoli d'altronde la giurisprudenza ed il concetto di diritto sono oggetto di splendide disamine dei più grandi pensatori.


Già: ma volendo passare dalla dottrina al caso specifico? C'è un esempio piuttosto calzante: immaginate uno studio legale storico, tra i più antichi del territorio, guidato da un'avvocatessa che in quello studio ci è cresciuta, facendo l'avvocato praticamente già da fanciulla.


Sì, perché era solo una bambina Cinzia Capone quando affascinata da quel mondo riesce a ritagliarsi uno spazio nello studio legale dello zio, che le concede di sedersi alla macchina da scrivere «Lui dettava gli atti giudiziari e le linee difensive ed io scrivevo, avevo poco più di 8 anni e mi sembrava la cosa più bella del mondo».


E la passione non scema mai, neanche quando per mantenersi agli studi Cinzia Capone deve lavorare: «L'ho fatto sempre con impegno e dignità: ho aiutato mio padre che vendeva bibite, ho fatto la cameriera, poi la rappresentante, ho lavorato come commessa, tutto per l'obiettivo finale di diventare avvocato. E ce l'ho fatta». Non solo, ma la luce negli occhi e l’entusiasmo di quella bimba che si approcciava alla voglia di giustizia emozionata e felice di vedere preparare le arringhe è ancora la stessa, negli occhi di Cinzia: «Amo questa professione quanto la mia stessa vita ed i miei clienti lo percepiscono: quando definisco la loro difesa mi brillano gli occhi. Ed è vero: sono anche un’imprenditrice, avrei potuto lasciar perdere, ma mi piace troppo fare l'avvocato, amo a dismisura quello che con mente e cuore ho costruito, questo studio di cui ne vado fiera, il mio studio».


Uno studio legale avviato, consolidato e stimato, tutto in rosa, guidato da un’avvocatessa coadiuvata dalle sue collaboratrici.
Ecco: immaginate quello studio che si occupa di dimostrare l'innocenza di un uomo, accusato di stalking, un crimine commesso sotto il titolo di “atti persecutori” ai danni di una donna.
Bisogna credergli, innanzitutto: bisogna che all'innocenza di quell'uomo, credano non una, ma due, tre, quattro donne, anzi cinque, visto che il giudice che si è occupato del caso è anch'esso donna.
Protagonista l'avvocato Cinzia Capone, titolare dello Studio Legale Capone di Mirabella Eclano (Av).
«Quell'uomo era innocente: l'avevo intuìto come avvocato, ma soprattutto come donna. Da donna sarebbe stato impossibile, altrimenti, difendere un uomo che si crede colpevole di reati così odiosi contro una donna, sarebbe venuto meno tutto il mio schema di valori».


E così l'avvocato Cinzia Capone prende un caso che sembra perso: «Un uomo, con qualche precedente specifico, denunciato più volte da questa donna che lo accusava di reiterate condotte di molestia e che aveva portato il caso anche su un piano mediatico, chiedendo aiuto alle forze dell’ordine, presentandosi come vittima lamentava un fondato timore per la sua incolumità al punto da vedersi costretta ad alterare le sue abitudini di vita e invece...».
E invece era una relazione tra due persone gelose l'una dell'altra, ma dove il reato di stalking non si configurava affatto: «Ho dimostrato - spiega l'avvocato Cinzia Capone - la sua innocenza. Ho richiesto una perizia tecnico-informatica che ha analizzato circa 1880 contatti, chat e messaggi presenti sul cellulare del mio assistito e sono riuscita a provare che la stessa donna che lo denunciava come stalker, per contro lo cercava continuamente facendolo intenerire, provocandolo sessualmente anche con foto osè, chiedendogli di raggiungerla a casa sua a tutte le ore, anche di notte. Durante l’esame probatorio le ho chiesto se fosse stata disponibile a sposare il mio assistito e lei ha risposto di sì, di essere pronta a farlo confessando il suo amore, perché lui era il suo punto di riferimento al quale si rivolgeva in caso di bisogno: va da sé che non si vuol sposare spontaneamente un uomo che ti importuna e ti provoca un perdurante stato di ansia e di paura, che ti priva della libertà, che ti molesta e perseguita».


Non solo: «Dopo 74 giorni di custodia cautelare in carcere, come misura alternativa, ho ottenuto dal gip - racconta ancora la titolare dello studio legale, Cinzia Capone - previa disponibilità dell'azienda in cui lavora il mio assistito a trasferirlo nella sede di Olbia, in Sardegna, luogo lontano, scelto per espiare la misura cautelare - l’obbligo di soggiorno sull'isola, per evitare che entrasse in contatto con la denunciante. Ebbene, la presunta vittima che già gli aveva scritto lettere d'amore mentre lui era in carcere sollecitandolo a riscontrarle, ha cercato di raggiungerlo pure sull'isola, coinvolgendo un amico comune, teste della difesa, perché l’aiutasse a reperirlo, chiedendogli in prestito la sua scheda telefonica per contattarlo, temendo che i loro telefoni fossero sotto controllo. Di fronte al diniego dell’amico, che preferiva non mettersi in mezzo, sempre per provocarlo, gli inviava persino un video, prodotto dalla difesa anche in fotografia, in cui è ripreso il corpo, senza volto, di un altro uomo nudo. Di contro, in punto di fatto, le condotte descritte nel capo di accusa, ovvero le molestie, le reiterate minacce, il perdurante stato di ansia e paura, nonché il fondato timore per la propria incolumità e quella dei propri familiari, non sono in alcun modo emerse durante l’istruttoria dibattimentale. Pertanto non sussiste il reato di cui all’art. 612 bis c.p.

Poi alla base c'erano i litigi tipici di due amanti, perché l'una gelosa dell'altro. Nei numerosi messaggi i due alludono a presunti tradimenti, lei dice che non farà pace al solito modo e cioè facendo sesso e poco dopo i loro rapporti tornano sereni, si raccontano i fatti della giornata, non mancano da parte della donna le provocazioni sessuali con fotografie da lei inviate in cui compare a seno nudo e si organizzano per incontrarsi. In generale è più che evidente che trattasi di una relazione sentimentale tormentata, sì, ma senza alcuna ombra del reato di stalking. L'accusa aveva chiesto un anno e quattro mesi di carcere, ma il giudice, una donna, ha assolto il mio assistito con formula piena: il fatto non sussiste.

Oggi è un uomo rinato, completamente reintegrato e sereno, mi ringrazia ogni giorno assieme alla sua famiglia e dirò di più, ogni volta che animata da grinta e coraggio andavo in carcere, a Bellizzi, per i colloqui, il mio assistito mi racconta che le guardie gli dicevano “Devi essere davvero innocente se dal reato di stalking ti difende un avvocato donna”. Il rispetto della donna è sacro - conclude l'avvocato Cinzia Capone - la tutela della donna altrettanto, ma una persona accusata ingiustamente, detenuta ingiustamente, di qualsiasi sesso, razza, religione sia è sempre un vulnus e i vulnus vanno sanati».