Benevento

Il racconto della vittima – il titolare di un agriturismo – parte dalle difficoltà economiche che lo avrebbero spinto negli anni trascorsi a rivolgersi dapprima ad una banca e poi, dopo un protesto, a Piscopo, Collarile, Pasqualino Parrella e Nizza, dai quali avrebbe ottenuto una serie di prestiti: 5mila euro dal primo, 3mila a testa dagli altri tre, da restituire con interessi mensili tra 200 e 750 euro mensili.

Circostanze finite nel mirino degli inquirenti, con un lavoro investigativo corroborato da intercettazioni e anche dall'analisi dei messaggi whats app che avrebbe ricevuto il malcapitato, bersaglio di continue richieste di denaro, nonostante lui sostenesse di avesse onorato in gran parte gli impegni.

Piscopo gli avrebbe proposto di aprire con lui un esercizio commerciale, ma aveva rifiutato perchè, secondo lui, la sua intenzione era quella di appropriarsi dell'attività di cui era titolare. Inoltre, per la gestione della piscina sarebbe stato costretto a creare una società con amministratore Cosimo Parrella.

Non è finita: l'uomo sarebbe stato più volte intimidito, nel luglio di due anni fa da un'auto gli avrebbero gridato minacce di morte (“Infame, ti sparo in bocca...), poi la sua macchina sarebbe stata danneggiata.

Una situazione, quella relativa alla presunta usura, che avrebbe riguardato anche altre nove persone che, ascoltate dalla Mobile, avrebbero però escluso di averla subita, finendo sott'inchiesta per favoreggiamento.

“La posizione degli indagati appare piuttosto chiara – scrive il Gip- atteso che l'attività investigativa svolta ha evidenziato la scaltrezza degli stessi i quali non esitano a porre in essere minacce di violenze fisiche ai danni delle vittime “inadempienti” nei pagamenti del denaro ottenuto mediante prestiti a tassi usurari, arrivando anche a danneggiare i beni delle vittime che non rispettano i termini di pagamento o che potrebbero collaborare con le forze dell'ordine”. Peraltro, aggiunge la dottoressa Palmieri, “dal tenore delle conversazioni intercettate emerge, in qualche caso, una sorta di timore reverenziale nei confronti degli indagati da parte delle vittime dell'usura e delle estorsioni, costrette a rivolgeersi ai primi in mancanza di lecite alternative”.