Savignano Irpino

Pierluigi La Manna volontario Protezione Civile 

23 Novembre 1980, io non c’ero.
Io non c’ero quella sera e, così come me, non c’erano tante generazioni che oggi, a distanza di quarant’anni, sentono parlare sempre di più di quel disastro.

Noi giovani irpini non riusciremo mai a comprendere gli occhi lucidi e le lacrime di chi oggi fa ancora fatica a parlare di quella giornata calda, strana.

Non riusciremo mai a comprendere il dolore di chi un attimo prima aveva tutto e un attimo dopo non aveva più nulla, nemmeno un fazzoletto per asciugarsi le lacrime.

Non riusciremo mai a comprendere il lavoro fatto da tutti quegli uomini arrivati lì increduli e impreparati.
Non puoi comprendere se non lo hai vissuto.

Qualche anno fa, ho avuto la possibilità di parlare con un Vigile Del Fuoco, ormai in pensione da molto tempo, il quale arrivò a Sant’Angelo dei Lombardi la sera del 23 Novembre.

Durante il suo racconto mi colpì il suo sguardo, freddo e perso nel vuoto, mi raccontò che la prima cosa che dissero lui e i suoi colleghi fu:”E mo andò mittim man?“.
Spesso mi chiedo come potremmo reagire noi, nuove generazioni, ad un evento del genere.

Sono trascorsi esattamente quarant’anni.

I terremoti sono fenomeni che, purtroppo, ricorrono; magari con intensità e profondità diverse, ma tornano...

Allora mi chiedo, quanto hanno fatto i nostri genitori in questi quarant’anni per metterci al sicuro, quanto e cosa ha fatto invece la nostra politica?

I terremoti non si possono prevedere.

Nessuno può prevedere l’insorgenza di un nuovo terremoto: magari si può tentare intuire il dove, ma il come e il quando esattamente non ci è dato saperli.

Noi, però, abbiamo a disposizione tanti strumenti. I fondamentali sono: i nostri nonni e i nostri territori. Perché?
Perché la prima generazione può tramandare la storia dei nostri territori. Laddove in precedenza si è verificato un fenomeno naturale, vi è una considerevole probabilità che ciò accada anche in futuro.
I nostri territori parlano, parlano con le loro forme, con le loro consistenze, ma molte volte siamo noi a nom volerli ascoltare.

Sono felice che oggi si parli tanto del terremoto dell’Irpinia e della Basilicata. Sarei ancora più felice se se ne parlasse tutti i giorni. E non solo di quello dell’80, ma di tutti i terremoti italiani.

Giuseppe Zamberletti ci ha lasciato un’eredità immensa: noi cosa possiamo fare? Possiamo approfondire la conoscenza del territorio in cui viviamo!

Vi esorto a invogliare i nostri amministratori locali ad aggiornare continuamente i piani di Protezione Civile, a portare i Comuni verso uno studio delle aree precedentemente interessate da fenomeni naturali, ma soprattutto ad ascoltare le urla disperse nel vuoto dei nostri territori.

Il ricordo e la memoria del terremoto in Irpinia non possono limitarsi ad una ricorrenza di una sola giornata. Possiamo fare tanto e non ci sarà futuro se non apprendiamo dal passato.
Facciamo presto...