Gesualdo

Il terremoto in Irpinia 40 anni dopo. Il 23 novembre 1980 le case di migliaia di persone diventarono tombe. Il sisma, l'evento più catastrofico della Repubblica Italiana come ha ricordato il presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, fece 2.735 vittime cancellando interi abitati.

Furono centinaia i cronisti che arrivarono in quei giorni in Irpinia, per vedere e raccontare, per provare, in alcun casi, a creare ponti preziosi di comunicazione tra chi viveva lontano e i loro cari. Tra questi il reporter Elia Mannetta che arrivò nella sua Gesualdo, da cui era emigrato da bambino, quattro giorni dopo il terremoto come inviato del "The Baltimore Evening Sun" e per trovare i suoi parenti, con cui era impossibile comunicare.

“Vivevo lontano da sempre, ma il legame, per chi come me vive altrove lontano dal suo paese, è solido, incredibilmente vivo – spiega Mannetta -. Ero in viaggio, quella domenica, fuori dalla mia città. Era domenica anche a Baltimora, quel 23 novembre di 40 anni fa. Con mio padre e mio Zio Carmine provammo per giorni, inutilmente, ad avere notizie dal paese, dalla nostra Gesualdo, dei nostri cari. Tutto inutile. Poi il colpo di scena: il mio giornale mi chiese di partire per documentare la tragedia in Irpinia. Dissi subito sì. Per me rappresentava l'occasione per riabbracciare i miei cari, di avere notizie”.

Una volta arrivato a Gesualdo dinanzi agli occhi di Mannetta si presentò un paese distrutto.

“Le case erano vuote, le strade vive, brulicanti di persone in azione per salvare oggetti, memorie, i propri beni – ricorda Mannetta -. Quello che mi colpì fu il ridotto numero di vittime a fronte del paese distrutto. Mi raccontarono i miei parenti, che erano in salvo in una masseria, che la quasi totalità del paese alle 19,34 di quella domenica era in piazza per la processione della Madonna degli Afflitti. Quella solennità, nel mio paese, viene ricordata un po' come un miracolo perchè evitò una strage”. Dopo i prmi giorni cadde la neve. Un dramma che rese ancora più difficili i soccorsi.

“Mi sistemai in una tenda, in un prato, in aperta campagna – ricorda Mannetta -. Quella coltre bianca e gelida coprì il paese, portando candore ma al contempo gelo e dolore. E poi ricordo le altre scosse. Ne ricordo centinaia che ci hanno resi partecipi della terra che tremava come migliaia di persone prostrate dal dolore e dalla paura”.

Tra le immagini che Mannetta conserva, una foto sfocata, delle statue dei santi raccolti fuori la chiesa di San Vincenzo. Effigi terremotate come le persone, perchè anche le chiese erano insicure, lesionate, distrutte e insicure per la ferocia del sisma.

“Ma il ricordo più vivo che conservo sono le parole di mio zio Tonino che il terremoto lo definiì Santo Terremoto. Mi spiegò che prima del sisma in Irpinia, come in tutto il sud dimenticato non c'era luce, acqua e servizi nelle campagne. Non c'erano strade e ponti. Certo, il terremoto distrusse, uccise, seminò la tragedia, ma consentì la ricostruzione radicale e imponente nei paesi del profondo sud dimenticato da tutti”.