Avellino

In occasione del quarantennale del terremoto che devastò Campania e Basilicata, vi riproponiamo un articolo del fondatore e direttore di Radio Alfa, Ciro Vigorito, scritto per il cartaceo di Ottopagine in occasione di uno dei tanti viaggi che, come cronista compì, tra i paesi irpini, distrutti dal sisma. 

di Ciro Vigorito
“Quella sera io e Rosita stavano in cucina parlando così, delle cose di ogni giorno. Massimiliano che aveva quattro anni e Luca di un solo anno, erano già nei loro lettini. Abitavamo a Sant’Angelo dei Lombardi anche se siamo di Teora, in un piccolo e accogliente appartamento al quarto piano. Il palazzo era nuovo. Ci fu un boato, come di un tuono cupo. Ci fu solo il tempo di disperarci e abbracciarci e di non capire cosa stesse succedendo. Ci trovammo giù, nel buio. Mia moglie era sopra di me. Mi premeva con il suo corpo. “Nicola, sto morendo”, mi disse. “Non è niente: ce ne usciremo, le risposi per darle coraggio”. “No, non ce la faccio a respirare, sospirò. E morì. Mi scoppiò qualcosa dentro. Non seppi neppure piangere. Ero allucinato. Un’ora dopo, forse due, tra dolori infiniti, una voce: quella di Massimiliano a qualche metro da me. “Papà, prendi il telefono e chiama l’ospedale, io mi voglio alzare ma non mi fanno alzare”. Ho chiamato già, gli dissi, ma lui cominciò a chiamare aiuto”. Passò altro tempo. Non so quanto. Il corpo di mia moglie diventava più freddo, respirava a fatica, avevo il bacino rotto. Cercai di gridare aiuto. Arrivarono delle persone. Mi chiesero chi fossi. Sono Nicola Cordasco, risposi. E loro cominciarono a piangere. Io abitavo al quarto piano: famiglia e piani sottostanti erano spariti. Dissi loro di aiutare Massimiliano. Lo tirarono fuori. Nessuno mi diceva di Luca. Poi mi raggiunsero e mi separarono da mia moglie. Era quasi l’alba. Poco lontano una voce di bambino: pensai alla figlia di un carabiniere che abitava al piano inferiore. Mi dissero: stai tranquillo ti porteremo vicino a Massimiliano e Luca che abbiamo trovato vivo e protetto e salvato da una lamiera. Cominciai a piangere. Le lacrime avevano un sapore strano, perfino di gioia. Rosita era lì, morta a qualche metro da me”.
Graziella.
Sempre quella sera, qualche fabbricato più in là Graziella accudiva i suoi tre frugoletti, Sergio di otto anni, Marcello di sei e Marco di due. Antonio, il marito, 30 anni, era con gli amici nel bar Corrado, in piazza Libertà. In Tivù la Juventus. Dalle macerie qualcuno come Silvana Del Priore riuscì a venire fuori, dopo giorni, viva. Antonio no. A casa Graziella restò da sola, disperata con i suoi tre piccoli. Quattro anni dopo. Nicola e Graziella, vedovi del terremoto, si conoscono quattro anni dopo: cinque figli in due. In un angolo del cuore ricordi e lutti. Davanti la vita e i figli da crescere e amare. Si sposano dopo qualche mese. Vanno via lontano dai pilastri che sono ancora lì a ricordare. Si fermano a Luino ai piedi dei monti che un po’ ricordano quelli lasciati. In casa di Nicola e Graziella Cordasco la speranza ha il nome di Rosita: ha due anni e mezzo.