Avellino

S’è mischiato tutto. L’odore dei morti con il sudore dei vivi. Tra i soccorritori, gli sguardi attoniti dei lombardi e le lacrime dei siciliani: tutti avevano il colore della stessa polvere, del tufo che s’era sbriciolato. Ma quarant’anni sono troppi perché il rispetto per quella carne versata metta a tacere tutto il resto.

Alla furiosa rincorsa dei soldi che sono piovuti riparatori di uno Stato a brandelli, assente, e di più e più amministrazioni che per quelle macerie meriterebbero ben altre medaglie sul petto: l'ospedale di Sant'Angelo dei Lombardi che si è piegato su se stesso quale maledetto ufficio tecnico l'aveva autorizzato? E il palazzo di Mirabella, due piani di cemento armato fatti crescere su fondamenta di tufo, avrà avuto una bestia che l'ha firmato? L’assurdo banchetto che ne è seguito ha visto tutti seduti, da nord a sud, a chiedere il proprio tozzo, la propria ciotola.

L’enormità, l’abuso più indegno è stata la prigionia cui sono stati condannati i terremotati veri, per decenni in roulotte, baracche, container e prefabbricati costati come palazzi di via Monte Napoleone a Milano. Loro inchiodati nei tuguri a elemosinare il diritto di tornare a vivere e gli altri, la classe imprenditoriale e politica, ad arricchirsi e a trasformare il bisogno vero in consenso. Fino ad arrivare a cose talmente irripetibili che quando quei fessi esaltati delle Brigate rosse rapirono Ciro Cirillo la potente Dc si piegò a Cutolo e aprì i forzieri della Banca Popolare dell’Irpinia per pagarne il riscatto. Erano passati solo due anni e tutto il peggio si era già compiuto. La vera trattativa Stato-mafia è stata quella, anche se a pagare, quella volta come dopo le bombe di Riina, non è stato lo Stato, ma l’uomo con l’impermeabile bianco che andò a ritirare le centinaia di milioni che si spartirono terroristi e luogotenenti della Nco. Ci sono i nomi e i cognomi, i testimoni e non i pizzini e i fantasmi che ancora inseguono in Sicilia.

Bisognerebbe ricordarsi dello squallore di una campagna stampa organizzata dai grandi giornali del nord per piegare gli allora vicerè agli interessi spiccioli di bottega dei loro editori, che inseguivano reti televisive, affari, mega bonifiche: ogni posto di lavoro creato è costato allo Stato (quello vero) mezzo miliardo di lire e non è mai stato a tempo indeterminato. Mai.

Le cicatrici di intere generazioni sono state lacerate più e più volte. Per decenni la peggiore Italia possibile ha sostituito terroni con terremotati, sputando sui corpi in fila in quelle bare. Persino la partigiana Anselmi, la “più onesta” che la Dc ha potuto schierare per fare finalmente luce sulla famelica ferocia che ha scatenato la “219”, si è dovuta arrendere consegnando ai posteri due volumi di una Commissione d’inchiesta che, nonostante migliaia di pagine, non è riuscita a fare giustizia dei ladri, i nostri e quelli calati dal nord.

Cos’è stato il terremoto? Quello che è ogni sciagura: ai lampi di umanità pura che subito si accendono, segue sempre il clangore dei barbari e delle orde che annusando il sangue puntano ai soldi.