Avellino

Gli antenati affermavano che “A la ‘nfronnata e a la sfronnata moreno li cristiani” ovvero si muore più facilmente a primavera e in autunno. Forse l’instabilità climatica favorisce le epidemie e quindi un maggior numero di decessi, certo è che nel giro di una settimana, quella passata, abbiamo sepolto un amico al giorno. Tra il dolore della scomparsa, i ricordi delle esperienze vissute insieme al defunto, qualche chiacchiera coi parenti, passano le ventiquattro ore che precedono la sepoltura e che rientrano nei riti del cordoglio. Ho avuto modo di visitare defunti cittadini e campagnagnoli, giovani e anziani. La considerazione più immediata è quella dello snaturamento della morte nella società contemporanea. Non è certo una novità, ne parlavano già i maestri dell’antropologia negli anni sessanta, ma dal leggere, testimonianza di altro grado, a partecipare personalmente, c’è una bella differenza.

I nostri morti, in campagna o in paese, sono vivi anche nell’immobilità della morte. Il giorno luttuoso è una sorta di festa dove amici e parenti accorrono per un ultimo saluto, sarà pure una visita d’occasione ma è sempre confortante constatare la vicinanza e le testimonianze di affetto dei vicini, dei conoscenti, dei parenti, con cani e gatti intorno. Ci sono i fiori, la recita del rosario e della lista di azioni buone compiute dal defunto amato. La morte, da noi, è ancora un evento collettivo che coinvolge direttamente il gruppo di famiglie della contrada. Se muore una persona tutti i vicini si attivano per eventuali necessità, si astengono dal lavoro agricolo, non mettono in funzione macchine agricole, preparano una colazione per i congiunti; insomma hanno rispetto del dolore dell’amico e lo condividono con la veglia funebre e con le altre piccole attenzioni che possono aiutare i familiari a metabolizzare l’assenza improvvisa o annunziata. Poi la chiesa piena e la messa cantata, la lunga coda per le condoglianze, i rappresentanti dell’amministrazione, il “settimo” per rinnovare le condoglianze, tutto rientra nel rituale del cordoglio che aiuta la famiglia a trasformare il congiunto in uno spirito del focolare, costantemente addetto a proteggere il nucleo familiare.
 

Il morto cittadino invece subisce altra sorte. Qui la cosa assume l’aspetto di un evento vergognoso, una situazione sconveniente da cancellare quanto prima. Poche persone, solo i familiari, soprattutto se è una persona anziana. Un piccolo manifesto perché non c’è spazio nella bacheca, pochi fiori, un prete frettoloso perché ha altri impegni. Niente settimo perché i familiari il giorno dopo debbono rientrare a lavoro. Si perché è un lavoro che rende schiavi, che non ha leggi umane ma economiche. In campagna invece il lavoro si ferma, tutto si blocca quando c’è un vissuto di morte, le colture aspettano, non reclamano e non licenziano come, allo stesso modo, non assegnano giorni di vacanza. Sono flessibili sugli orari anche se sono esigenti in alcuni casi. La costumanza del “conzuolo” ormai è scomparsa ma si mantengono vivi gli altri piccoli riti che fortificano le piccole comunità e le rendono strumento di guarigione dal dolore dell’assenza. La morte resta pur sempre morte, cambiano i metodi per affrontarla, cosa inutile al defunto ma indispensabile ai vivi.

 

 

Franca Molinaro