L’Italia festeggia i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, l’uomo che ha dato una base comune a tutti gli italiani, che ha regalato agli italiani, divisi e chiusi nei loro campanili, un’opera nella quale identificarsi, una lingua della quale andare fieri, una figura ineguagliabile nella cultura della storia dell’umanità.

C’è un discorso all’interno della Divina Commedia che ha segnato il pensiero mondiale. Un discorso che ancora oggi rappresenta un modello attuale sia linguisticamente che nel suo contenuto. Dante nel Canto XXVI incontra i fraudolenti, sono avvolti dalle fiamme proprio come in vita hanno infiammato, con i loro discorsi e le loro idee, le persone che li hanno seguiti. Il Canto si apre con un’invettiva a Firenze, a chi l’ha tradita, alla politica che l’ha ingannata, con un passaggio che oggi potremmo leggere e far leggere alle classi dirigenti del mondo. In questa bolgia Dante incontra Ulisse, quel celebre “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” viene pronunciato qui, da quell’eroe che da sempre ha rappresentato la sete di conoscenza. Nelle parole di Ulisse c’è tutta al tensione che l’uomo deve avere verso la conoscenza, c’è il funzionamento del progresso che esiste solo se l’essere umano è capace di vedere nella ricerca la vera missione della propria vita. 

Questo discorso dovrebbe essere il faro dell’umanità che, nel buio di questi tempi, deve riscoprire la bellezza, la forza, la vitalità e il coraggio della ricerca della conoscenza.

 

"O frati," dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".