A conti fatti queste regionali ci consegnano un quadro chiaro per il prossimo futuro. Un consiglio regionale nel quale entrano alla corte di un Vincenzo De Luca sempre più padre padrona della Campania, una serie di consiglieri che mai nessuno avrebbe immaginato nell’alveo del centrosinistra.
Ha detto bene il riconfermato De Luca “non è una vittoria della sinistra è una vittoria di popolo (forse è stato tento di dire è una vittoria solo mia), mi ha votato anche tanta destra”. E proprio quella destra entra in un consiglio regionale che sarà quantomeno balcanizzato. Ad essere ridimensionato e ridotto all’osso è, infatti, proprio quel Partito Democratico che dovrebbe essere ancora la casa di De Luca e del quale il figlio Piero è rappresentare in Parlamento. Il Pd ha subito un taglio netto del numero dei consiglieri, prima ancora di vedere tagliati i parlamentari, in una sfida che ha visto a Napoli e provincia una soglia irraggiungibile di 20mila voti per essere eletto.
La scioccante affermazione di Mario Casillo che supera i 41mila voti di preferenza, il consigliere uscente arriva a totalizzare da solo il consenso di un intero partito, è il primo chiaro messaggio a De Luca che in questi anni non ha, di certo, nascosto di non nutrire simpatie per l’uomo forte della provincia napoletana che questa volta però non si accontenterà certo di fare il semplice capogruppo.
In consiglio entra la pattuglia di “Campania Presidente”, che non nasconde neanche di essere parte di quella destra che va dai cosentiniani alla Paolo Raia ai caldoriani pentiti alla Carmine Mocerino. Una destra che farà sentire il suo peso in un assise regionale che è già balcanizzata prima ancora di nascere.
Un’elezione che deve far ragionare e anche molto sulla nuova modalità politica che si sta affermando. Sono stati premiati con valanghe di voti candidati silenti che neanche si sono sentiti sui social e sui giornali e candidati che sui social e sulla loro immagine hanno fondato il loro successo. Due facce di una stessa politica che si adatta, ognuna a suo modo, alle esigenze di un tempo e di una società che mescola superficialità e soddisfazione bisogni immediati.
Dai candidati che nessuno conosceva come la 21enne Vittoria Lettieri che con un risultato a sorpresa risulta la prima eletta nella lista del governatore, o come la consigliera uscente del Partito Democratico, Loredana Raia, che supera le 27mila preferenze senza quasi mai apparire in 5 anni né nelle sedi di partito, né sui media, si passa all’exploit di Francesco Emilio Borrelli che, proprio grazie alle sue dirette Facebook e alla sua immagine mediatica, è passato dai 2mila voti di 5 anni fa ai quasi 16mila di oggi.
Restano fuori dal consiglio le storie politiche regionali più di spessore, dai demitiani ai bassoliniani che nonostante abbiano, per anni, occupato i centri della politica regionale, non riescono a raggiungere i livelli di creazione di consenso di chi invece, nel silenzio, ha costruito reti agganci tanto floride quanto poco visibili.
Ci troviamo dunque davanti al primo risultato elettorale completamente post-ideologico, con un De Luca che raggiunge il 70% e con la politica, quella dei contenuti delle idee, dei comizi, del confronto, uscita dalla riserva dove si era rifugiata ed evaporata al caldo di un agone politico tutto fondato sul consenso immediato e concreto. A vincere sono coloro che riescono a tramare, quelli capaci di costruire fitte reti di consenso o, di contro, chi è in grado di crearsi un personaggio pubblico attraverso che somigli più a un giustiziere e un moralizzatore che a un politico.
A vincere non è stato solo il De Luca sceriffo del Covid ma anche quello bravo a dare il giusto spazio ad un mondo “politico-elettorale” che mai ha parlato e che mai si sente. Hanno trionfato i trasformisti, a dimostrazione di quanto possa essere fragile il giudizio anche politico di alcune scelte che sembrerebbero ingiustificabili in un ottica ideologica. Molto si è parlato dei cambi di casacca eppure a vincere, ad essere premiati dagli elettori, sono proprio quelli che hanno fatto il salto e la piroette più lunga. Molto si è discusso di come ci sia un problema in sistemi che creano consensi personali spropositati, eppure hanno vinto proprio coloro capaci di metter in piedi corazzate sproporzionate.
Dal discorso di De Luca di ieri sera alla Stazione Marittima di Napoli, ai numeri delle preferenze, ai nomi dei riconfermati, dei bocciati e delle new entry, si capisce una cosa chiara e inequivocabile: la democrazia, se spogliata dalle idee e dalle ideologie, rischia di trasformarsi in un mercato con tutte le dinamiche di ogni mercato, con una domanda e un’offerta, un acquirente e molti venditori.
Lo hanno dimostrato De Luca con il suo saper tessere e rompere e i campani con i loro voti che se togli le idee alla politica vincono le corazzate del consenso capaci di mettere insieme tanti pacchetti pieni di voti che non danno fastidio.
Se i cittadini non devono scegliere valutando le idee, proprio come in un mercato perfettamente liberale, scelgono massimizzando la propria utilità personale che spesso non coincide con quella collettiva.
De Luca è al 70% e questo dovrebbe far immaginare un governo regionale forte e stabile ma, al contrario, proprio da questo dato si aprirà una stagione di instabilità di scontro continuo, una stagione nella quale il governatore dovrà trovare l’equilibrio tra le varie utilità individuali degli eletti. Un equilibrio che difficilmente coinciderà con l’interesse collettivo dei campani.