Ciò che sta accadendo negli Stati Uniti, con le uccisioni ormai sistematiche di giovani di colore da parte della polizia, riporta all’attenzione del mondo un nodo mai risolto della più grande ed avanzata democrazia del mondo. Uno dei tanti certo ma forse il più centrale di una società che alle fondamenta si scopre ancora puramente razzista. 

Non è un caso e non può esserlo, che chi rappresenta la faccia più visibile del monopolio della violenza dello Stato, mostri quanto possano essere discriminati alcuni cittadini per il colore della loro pelle. 

Jacob Blake è un ragazzo di 29 anni, un ragazzo americano, un ragazzo del Wisconsin, un ragazzo afroamericano che resterà paralizzato dalla vita in giù perché la polizia gli ha sparato alle spalle mentre era disarmato ed entrava nella sua macchina con dentro i suoi figli di 3, 5 e 8 anni. Come se non bastasse per rendere ancora più indegna l’azione di polizia Jacob in ospedale è stato ammanettato al letto, nonostante sia paralizzato e non possa andare da nessuna parte.

I cellulari hanno rilanciato in tutto il mondo immagini che sono ancora più forti di quelle di qualche mese fa di Floyd, il ragazzo afroamericano strangolato con un ginocchio da un poliziotto mentre continuava a ripetere di non riuscire a respirare. 

In una nazione che in questi giorni ha ricordato quel 28 agosto del 1963, quando all’ombra del Lincoln Memorial a Washington, Martin Luther King scolpì le coscienze del mondo con quel “I have a dream”, queste immagini pesano ancora di più e hanno scatenato le rivolte in tutta l’America e soprattuto hanno aumentato la rabbia della comunità nera.

Ogni società deve fare i conti con i suoi demoni, con le sue storture, con i suoi conflitti. Per troppi anni gli USA hanno nascosto sotto il tappeto del politically correct quel razzismo che non si è mai sopito e che scandisce e plasma ancora oggi la loro società e in un certo senso la società occidentale in generale. 

Oggi con le proteste che infiammano le strade, l’America scopre che sotto il tappeto aveva nascosto braci ardenti e ora brucia il tappeto con tutta la stanza. A spaventare il mondo è che a voler spegnere quest’incendio c’è un Donald Trump carico, pronto a vivere le elezioni con il motto dell’ordine contro il caos, pronto a incitare i bravi cittadini bianchi a sparare sulla folla.

Davanti a tale idiozia le parole di rabbia ma anche di compostezza e di pace dette da Letetra Widman, sorella di Jacob Blake, rappresentano la speranza di una via intelligente, sana e civile per portare l’America e l’occidente, finalmente, fuori dal razzismo.

Sono la custode di mio fratello e quando dite il nome di Jacob Blake assicuratevi di dire padre, assicuratevi di dire cugino, assicuratevi di dire figlio, assicuratevi di dire zio, ma la cosa più importate: assicuratevi di dire umano. Vita umana. Questa parola lasciatela marinare nella vostra bocca, nella vostra mente. 
Una vita umana, proprio come ognuno di voi, indistintamente. Siamo umani. La sua vita è importante. 
Tante persone mi hanno contattata dicendomi che sono dispiaciuti che questo sia successo alla mia famiglia. Ma non scusatevi, perché ciò accade alla mia famiglia da lungo tempo, più lungo di quanto io possa spiegare. È accaduto ad Emmet Till, ed Emmet Till è la mia famiglia. Philando, Mike Brown, Sandra. È successo sempre alla mia famiglia e ho condiviso le lacrime con ognuna di queste persone.
Questo non è nulla di nuova, non sono triste, non sono dispiaciuta, sono arrabbiata e sono stanca. Non ho pianto neanche una volta, ho smesso di piangere anni fa, sono diventata insensibile. Ho visto la polizia uccidere persone che sono come me per anni. Sono parte di una storia quella della minoranza nera e dunque non l’ho visto solo nei miei 30 anni ma lo vedo da sempre, da prima che nascessi.
Non sono triste e non voglio la vostra pietà, io voglio cambiare!