Avellino

La ferita del tempo
di Franco Festa
per Robin Edizioni “I luoghi del delitto”
(pp 361 – 16 euro)

In ogni racconto di Franco Festa tutti cercano l’assassino mentre l’unica a morire, ogni volta, è la città di Avellino.

Melillo e Matarazzo, il nodo e il doppio nodo, tornano a ricordarcelo investigando l’ambiente, i fatti, i sentimenti: addentellati di un muro che sempre va, consumando spazio e lasciando al tempo sempre una risega per agganciare altro.

I casi che di volta in volta Franco Festa apre e chiude sono come una risacca che allungando la mano nella cronaca nera la usa come un alibi per lenire i luoghi e accarezzare gli anni del vigore e della passione politica: inconfessato scopo di ogni libro.

Perché mai il commissario Melillo dovrebbe invecchiare? Perché Matarazzo, suo sostituto in Questura, sceglie pure lui la Torre dell’orologio come amica, vicina: romantico catino delle cose più intime, più vere?

Perché è la Collina della Terra il luogo dove gli uomini sono solo uomini e le passioni si rivelano?

Il viaggio dell’eroe, i dieci passi che da sempre spiegano ogni trama, si compie sistematico sullo sfondo di una barbarie urbanistica lasciata alla voracità di tre, quattro famiglie che politici e intellettuali dalla “schiena dritta” dagli anni ’60 ad oggi hanno lasciato banchettare.

Noi, rassegnati al saccheggio ma troppo snob per lamentarci, preferiamo interrogarci su altro. Se, come per il delitto narrato, Avellino avesse la capacità di ripercorrere se stessa, anche dopo 40 anni, darebbe finalmente un senso a tutto quanto accaduto, trovando i responsabili degli agguati al proprio territorio, assassinii programmati a tavolino e portati a termine da sicari abili e spietati.

Gli anni di Melillo, il loro peso, sono la giustizia che si fa lenta, troppo, e i tormenti di Matarazzo, le sue ingiuste accuse poi risolte grazie ad altri, sono la possibilità che la città ancora ha di riscattarsi.

Franco Festa fa ritrovare archivi segreti di politici, ricorda i pupari dietro la corruzione, non ignora i quartieri ghetto, quei mostri senza senso come San Tommaso, Rione Mazzini, la collina dei Liguorini: dietro non c'è nessuna idea di felicità.

Tutto andrebbe riavvolto, rispiegato come un delitto apparentemente risolto. Indizio dopo indizio. Testimone dopo testimone. Rivelazione dopo rivelazione. Fino a riandare alla Collina della Terra, dove tutto è iniziato.

Al Duomo, alla gradelle tintiere e al Corso, che erano la traccia buona della crescita. Melillo ogni tanto riesce ad appisolarsi perché sa che sarà Matarazzo a finire il lavoro da lui iniziato, dando a tutti noi i nomi dei mandanti, degli assassini e dei mariuoli.