Napoli

Mohamed Ben Ali aveva 37 anni, una vita passata a cercare la tranquillità, la libertà, ad inseguire il diritto fondamentale che dovrebbe essere garantito ad ogni essere umano, quello alla vita. 

Mohamed è morto avvolto dalle fiamme che hanno distrutto la sua baracca di legno nel ghetto di Borgo Mezzanotte in provincia di Foggia. Una morte atroce, un destino che purtroppo è condiviso da chi vive come invisibile, imbrigliato nei vuoti legislativi, nella burocrazia lenta e colpevole, nelle politiche migratorie italiane ed europee che da decenni sono la rappresentazione concreta della mancanza di governo di uno dei processi epocali del nostro tempo. 

Era arrivato 15 anni fa in Italia dal Senegal, viveva inizialmente in uno Sprar di Napoli, poi non era riuscito a convertire il suo permesso di protezione umanitaria in permesso di lavoro ed è morto da irregolare, da invisibile, in uno dei ghetti che l’Europa fa finta di non vedere. 

La pandemia ha messo in risalto le storture e i nodi mai risolti del nostro sistema economico, sociale e politico. A mostrare un disagio per troppo tempo lasciato sotto il tappeto è stato tutto il comparto della grande distribuzione alimentare. Un mercato nel quale l’approvvigionamento di prodotti a basso costo ha pesato in maniera sostanziosa negli anni sugli anelli più deboli e sfruttabili dell’intera catena del valore dell’agricoltura. A pagare sulla propria pelle i prezzi competitivi dei grandi e luminosissimi supermercati italiani, sono i braccianti agricoli che oggi vivono in condizioni di schiavitù e che ripercorrono le strade della lotta e delle proteste che nel secolo scorso furono portate avanti nel sud Italia dai grandi nomi del sindacalismo italiano, da Fiore a Di Vittorio. 

La situazione è diventata sempre più incontrollabile e anche la politica istituzionale sembra essersi accorta del pericolo sociale ed economico che il contino sfruttamento di manodopera “a nero” nella campagne meridionali, può rappresentare per al tenuta dell’intero sistema economico italiano. 

Le proteste antirazziste che dagli USA hanno coinvolto l’intero occidente, in Italia potrebbero sfociare in un conflitto sociale che ha alla base una lotta di rivendicazione di diritti del lavoro e di dignità umana. Alla questione sociale e alle rivendicazioni dei precari, dei braccianti, degli operai edili invisibili e di tutti gli sfruttati, si affianca oggi una questione culturale che vede movimenti e sindacati impegnati in una lotta che non è solo quella dei diritti del lavoro ma che coniuga questa con le rivendicazioni antirazziste. Alla base di un nuovo contratto sociale tra capitale e lavoro non può non esserci il cambio delle politiche migratorie, della gestione dell’inclusione e dell’accoglienza che deve avvenire a livello europeo. 

Lo slogan “black lives matter” (le vite dei neri contano) oggi in Italia inizia a farsi sentire e per le strade di Napoli, per ricordare il 36 morto tra le fiamme a Borgo Mezzanotte, ha riecheggiato “migrants lives matter”. La fase di George Floyd, mentre il ginocchio del poliziotto lo stava uccidendo, “non posso respirare”, è diventata un urlo collettivo che qui in Campania unisce le rabbie, le speranze e le sofferenze di tutti gli invisibili “VOGLIAMO RESPIRARE”

I DATI DEL FENOMENO

In Campania la realtà migratoria ha visto diverse fasi. Inizialmente, nella seconda metà del secolo scorso, i primi arrivi di migranti erano riconducibili a rifugiate eritree e ad uomini nordafricani. Negli anni ’70 i flussi più costanti iniziarono ad aprirsi con le filippine e con Capoverde, e riguardavano, per la maggior parte, lavoratori domestici. Negli anni ’80 iniziarono a diventare predominanti i flussi dell’Africa Subshariana e la Campania divenne una regione di passaggio, una delle tante tappe dei lunghissimi viaggi migratori che attraversavano il mediterraneo per approdare alle ricche nazioni del nord Europa. Gli anni ’90 hanno rappresentato invece l’apertura di un nuovo flusso migratorio, quello dell’Est e nel nuovo millennio la Campania diventa meta di migrazioni stanziali.
Oggi la comunità più numerosa in campania è quella proveniente dall’Ucraina che rappresenta il 16,8% dei residenti, seguita da Romania (16,4%), Marocco (8,3%), Sri Lanka (6,7%), Cina (5,4%) e Bangladesh (4,3%). 

Migranti e Lavoro
Gli occupati stranieri rappresentano in Campania, in particolare, il 7% del totale regionale. 117.100 occupati, il 43,5% sono donne. 
Gli stranieri sono inseriti in ambiti occupazionali precari, poco qualificati, scarsamente retribuiti.
74,4% settore terziario
23,3% commerico
17% settore secondario (di cui il 9,5 nell’edilizia)
8,6% nell’agricoltura

Aziende straniere sul territorio regionale
44.022 aziende, il 7,5% delle imprese totali

Migranti nelle scuole 
2,4% del totale dei quali: Romania 20,8%, Ucraina 15,3%, Marocco 9,4%, Albania 5,9% e Cina 5,2%.