La quarantena ha prodotto degli effetti politici immediati in Campania. Il primo e più evidente, è il ritorno del fenomeno Vincenzo De Luca. Il presidente è uscito dalla palude nella quale molti, più del suo campo che delle opposizioni, lo avevano infilato e, con una gestione della crisi che ha ridato splendore alla sua stella da sceriffo, oggi viaggia su percentuali di gradimento sulle quali nessun altro governatore può contare.
Ieri è arrivato anche il riconoscimento del Partito Democratico nazionale, che dopo mesi nei quali ha tentato in tutti modi di superare lo “sceriffo di Salerno”, oggi lo riscopre come “modello di governo regionale”.
Dunque tra un “lanciafiamme” e un “fratacchione”, De Luca ha riacquisito un’immagine politica e ha rilanciato il suo modello a livello nazionale.
Eppure era febbraio quando il Pd metropolitano di Napoli lanciava il modello Ruotolo, con un’alleanza strutturata con quel Luigi de Magistris, che ancora oggi prova a trovare spazio inseguendo uno scontro frontale con De Luca ma resta schiacciato dalla comunicazione ormai travolgente del governatore.
Era febbraio quando a Roma i vertici nazionali dem incontravano il sindaco di Napoli per discutere di regionali. Era solo febbraio quando il nome del ministro dell’ambiente Costa veniva messo sul tavolo come candidato presidente in Campania dai 5 Stelle in una trattativa alla quale il Pd strizzava l’occhio per ottenere qualche candidatura altrove.
Vincenzo De Luca, con i suoi problemi, con i suoi modi, con i suoi figli, con la scelta anti-Zingaretti al congresso, era un boccone indigesto per la segreteria romana. Un boccone che dirigenti romani e napoletani erano pronti a sputare.
Il coronavirus ha però creato un problema reale, un dramma vero, una paura tangibile. Era richiesto nell’immediato il piglio decisionista dell’amministratore che sa cosa significa gestire strutture complesse e muoversi nell’urgenza. A quel punto i ragionamenti filosofici, i motti rivoluzionari e gli incontri di pensiero servivano a poco, le persone chiedevano protezione e hanno trovato nel De Luca che chiude con fermezza la Campania la risposta.
Il governatore è stato capace di ritrovare lo smalto dei tempi migliori e con i suoi modi ha preso in mano la situazione e ha agito da amministratore navigato. A questo ha aggiunto il suo tocco comunicativo che tra una battuta e l’altra l’ha portato ad essere condiviso da Naomi Campbell, a essere mandato in diretta sui canali asiatici e a rispondere a Fazio con un geniale “fratacchione”.
Oggi la cosa più simpatica che si osserva nel mondo della politica è la riscoperta democratica di un De Luca che fino a poco fa era l’innominato del Nazareno. In nessuna riunione si riusciva a dire che era il candidato, in nessuna uscita pubblica si poteva sostenere che lo si appoggiava. Una serie di distinguo, di paletti, di chiusure che arrivavano dai vertici con tanto di visite a Napoli senza neanche incontrare lo “sceriffo”. Oggi quell’innominato da superare, diventa il modello di governo regionale del Partito Democratico.
Ora il problema è di quei tanti dirigenti democratici locali, più arrivisti che attivisti, che, nei mesi scorsi, avevano provato a costruirsi una carriera politica proprio puntando sul tentativo di superare il governatore, proponendo il campo largo, il “modello Ruotolo”, l’alleanza con de Magistris.
Quei vertici del Pd locale, che oggi dovrebbero almeno ritirarsi in un silenzio dignitoso, provano invece a fare l’ennesimo doppio carpiato, l’ennesima giravolta e riscoprendo De Luca mostrano ancora una volta una lontananza siderale dal mondo reale.