Montesarchio

Quegli anziani che mi facevano compagnia al mattino, i primi buongiorno, le prime chiacchiere... non so dove sono, non so se li rivedrò. Spero stiano bene”. Luigi Barricelli, “Gino” che accompagnato da “il” a Milano va pure bene, è sannita, di Montesarchio, tra i tanti che a sud hanno recitato un simil addio ai monti per lavorare nel capoluogo meneghino. Un lavoro particolare, il suo, di quelli che vedi ogni giorno Milano svegliarsi, di quelli che hai in mano il termometro della città. Gestisce un'edicola, di quelle a chiosco che trovi nelle grandi città, di quelle che possono far da pausa veloce anche dove si corre sempre: non devi entrare, basta un “Uè (con e rigorosamente aperta) Gino, come va?” anche al volo.
E da quella vetrina privilegiata in Piazza Melozzo da Forlì ha guardato Milano cambiare, non senza paura: “Fino a fine febbraio già alle 5 del mattino, quando vado ad aprire non ero mai solo, la città era sveglia, viva: da due mesi vivo il deserto e fa impressione”.


Già, soprattutto perché a un tratto perdi quel “Uè Gino” che era diventata una compagnia, e non sai se quella compagnia tornerà o meno: “I miei primi clienti erano gli anziani: si svegliano presto, qui anche prima. Molti di loro sono soli: io sono di giù, chiacchiero volentieri e quindi per alcuni ero diventato tappa fissa, anche se non avevano bisogno del giornale. Oggi non vedo più la stragrande maggioranza di loro, spero stiano bene. Lo spero vivamente perché per almeno un mese ho visto ambulanze fare avanti e indietro ogni cinque minuti. Sirene, sirene, sirene: ti fa male, inevitabilmente”.


All'inizio non era stata presa sul serio: “Affatto, facevano i “milanesi” con me: “non ci fermiamo, è solo influenza, ci mancherebbe”, è cambiata quando hanno fatto luce sulla situazione delle terapie intensive. Lì hanno iniziato a prendere coscienza del problema. Oggi però sono tornati “milanesi”, e vogliono subito riaprire. Gli anziani no. Hanno ancora paura e fanno bene. ”.


La tentazione di scendere non l'ha mai sfiorato: “Neppure per un minuto: non avrei mai messo a rischio parenti, amici e familiari. Sarei stato un irresponsabile”.
La paura c'è, è inevitabile: “La mia compagna insegna in piena zona rossa e quindi nei primi giorni c'era timore. Oggi si vede la fine ma comunque non essendo rimasto chiuso in casa e stando per strada vedo che tutto è cambiato e sono cambiato anche io in parecchi atteggiamenti. Penso sia inevitabile”.