La Resistenza è uno degli episodi più profondi, dignitosi ed eroici della storia italiana. Purtroppo però spesso non è stata vissuta dall’Italia come un evento di identificazione nazionale, ma anzi nel tempo, c'è stato chi ha porvarto a nasconderla, a dimenticarla, a tenerla da parte.
Ancora oggi ci sono rappresentanti parlamentari che bollano il 25 aprile come divisivo, che ne chiedono addirittura una modifica profonda del senso, nel tentativo maldestro di diluire una storia che è il fondamento della nostra Costituzione, della nostra libertà, della nostra Repubblica, del nostro essere italiani.
Si la Resistenza era di parte, ovvio, in una guerra esistono almeno due parti. C'è stato chi, con un atto di coraggio e altruismo, si è schierato contro la dittatura, contro la violenza indiscriminata, contro l'invasore e contro il fascismo, quegli uomini e quelle donne hanno dato la loro vita, la loro gioventù, il loro animo schierandosi e vincendo. Si la Resistenza è di una parte, di quella parte che ha libertato tutti gli italiani.
Pretendere ora, con la scusa del tempo passato, di chiudere quel ricordo significherebbe non riconoscere da dove veniamo, significherebbe voltare le spalle al sacrificio di tanti.
C’è un episodio del 1955 che dovrebbe farci riflette su come purtroppo sin da subito qualcuno aveva provato a dimenticare la Resistenza. Il 9 marzo un gruppo di fascisti missini assalta la libreria Rinascita. Quest’atto mostra con chiarezza che i fascisti si stanno organizzando e stanno alzando il tiro. La questione arriva in parlamento e a prendere la parole è Sandro Pertini che diventerà Presidente della Repubblica e che i fascisti li conosce bene, li ha combattuti, ha vissuto il carcere e il confino, ha diretto la resistenza, era sua la voce che chiamò gli italiani all’insurrezione della radio “Milano Libera”, il 25 aprile “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”.
Il 14 aprile del 1955 a pochi giorni dal decennale della liberazione Sandro Pertini legge un discorso alla camera che ha una potenza enorme, leggendo all’aula le lettere dei condannati a morte della resistenza. Un discorso che andrebbe letto oggi non solo ai giovani ma a tutti coloro che continuano a dire sciocchezze sul 25 aprile.
“Faccia conoscere il Governo ai giovani in che cosa consistevano le spedizioni fasciste, la loro barbara opera di distruzione, i loro crimini. Sappiamo come fu ucciso Ferrero: pugnalato, legato ad un autocarro e trascinato per le vie di Torino, mentre le camicie nere sghignazzavano di fronte a questo giovane corpo straziato e la camera del lavoro di Torino era tutto un rogo.
Bisogna far conoscere come sono stati assassinati Piccinini, Di Vagno, Matteotti, Console e Pilati, assassinato dinanzi alla moglie e ai figli che in ginocchio imploravano pietà dagli sgherri fascisti; come sono stati colpiti a morte Giovanni Amendola e Piero Godetti; come fu ucciso un mite e puro sacerdote di Cristo: Don Minzoni; la morte straziante di Gastone Sozzi ucciso lentamente con clisteri di tintura di iodio, la fine di Maurizio Giglio, cui furono strappate ad una ad una le unghie dei piedi con il vano proposito che denunciasse i suoi compagni.
Fate sapere come nell’aprile del 1945 lanciando appelli alla radio di Milano abbiano scagliato contro di noi i giovani, mentre essi, gettate via le fastose divise in orbace, il volto più feroce, ma livido di paura con in testa il loro “duce” travestitosi da soldato nazista, pensavano solo a fuggire.
Fate conoscere ai giovani che il fascismo era l’anti-democrazia; che ha portato alla rovina la patria. Fate conoscere la lotta sostenuta con tanta fermezza dall’antifascismo e l’eroismo della Resistenza.
Si facciano conoscere nelle scuole Lettere dei condannati a morte della Resistenza, libro oggi proibito dai provveditori agli studi. Onorevoli colleghi, permettete che ve ne legga alcuni brani. Dopo ci sentiremo tutti migliori, e poi credo che questa breve lettura si addica alla presente vigilia del decennale della Resistenza.
Scriveva don Aldo Mei: “Muoio vittima dell’odio che tiranneggia nel mondo. Muoio perché trionfi la carità cristiana”. Scriveva ciò alcune ore prima di essere fucilato, il 14 agosto 1944. Scriveva l’operaio Giamone: “Tra poche ore non sarò più, ma sta pur certa che sarò calmo e tranquillo di fronte al plotone di esecuzione, come lo sono attualmente”. Tancredi Galimberti (medaglia d’oro della Resistenza): “Ho agito a fin di bene e per un’idea. Per questo sono sereno e dovete esserlo anche voi.”
E questa lettera brevissima di una medaglia d’oro alla Resistenza, di una donna, di una popolana, Irma Marchiani di 30 anni, che scriveva alla sorella: “Mia adorata Pally, sono gli ultimi istanti della mia vita. Dico a te: saluta e bacia tutti quelli che mi ricordano. Credimi: non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome. Ho sentito il richiamo della patria per la quale ho combattuto. Ora sono qui: tra poche ore non sarò più, ma sono sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse”.
E un’ultima lettera voglio leggere: quella di un giovane di 18 anni, medaglia d’oro della Resistenza, Giordano Cavestro: “Cari compagni, ora tocca a noi andare a raggiungere gli altri gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibili. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della libertà.”
Questa, signori, è la Resistenza, che sta di sopra delle denigrazioni di un branco di miserabili, di cui ogni italiano degno di questo nome si sente orgoglioso. Ecco perché noi anziani guardiamo fiduciosi ai giovani e quindi al domani del popolo italiano. Ad essi vogliamo consegnare intatto il patrimonio politico e morale della Resistenza, perché lo custodiscano e non vada disperso, alle loro valide mani affidiamo la bandiera della libertà e della giustizia, perché la portino sempre più avanti e sempre più in alto. Viva la Resistenza!”.