Leandro De Padua da Roma
Cara Ariano,
chi mi conosce bene sa che sono il classico tipo che ha sempre qualcosa da dire e che vuole sempre avere l’ultima parola. Nonostante ciò, quando penso a quello che ti sta succedendo, non riesco proprio a trovare le parole giuste o forse, in realtà, non ho il coraggio per riorganizzare i miei pensieri e dirle. In questo momento, nella mia testa ho un vortice di pensieri che non riesco a domare. Il primo, sicuramente, è il pensiero nostalgico che mi sta torturando in quanto fuorisede.
Sto vivendo lontano da te, ma vorrei tanto esserti vicino in questo momento. Vorrei tanto avere le competenze per poterti essere d’aiuto, vorrei tanto essere in prima linea per difenderti donandoti tutte le mie energie.
Quello che ti sta succedendo, ai miei occhi, è paradossale: gli ultimi dati ufficiali sostengono che ci siano 132 casi positivi. Con un semplice calcolo matematico si può concludere che circa 6 persone su 1.000 abbiano contratto il virus, sempre secondo i dati erogati dalle fonti istituzionali. Per capire la gravità di questi numeri, come suggeriva pochi giorni fa Vittorio Melito, basti pensare che con questa stessa percentuale nella sola provincia di Napoli ci sarebbero circa diciottomila contagiati. Questo dato suggerito da Melito è estremamente interessante ed ho voluto riportarlo per un semplice motivo: quando, solo due giorni fa, il nostro ex sindaco ha computato questi stessi calcoli, i possibili positivi erano circa quindicimila. Ciò significa che in appenatre giorni i contagiati sarebbero aumentati di ben tremila unità.Di fronte a questi numeri, ci si rende ulteriormente conto di quanto la situazione sia grave.
E qui il paradosso: i miei concittadini vivono in una cosiddetta “zona rossa” da venti giorni ormai, è stato di fatto vietato a tutti farci ingresso o uscirne se non per motivi sanitari o urgenze lavorative e dispiegato un ingente numero di forze dell’ordine a pattugliare le strade. Mi domando: a cosa è servito mettere agli arresti domiciliari una intera comunità senza prevedere necessarie misure straordinarie per sostenerla ed aiutarla a rialzarsi? Oltre che allo scopo, assolutamente legittimo, di tutelare le comunità circostanti, quali sarebbero i risultati sperati da questo isolamento nella totale assenza di una normativa e di un piano di azione comune e conoscibile dal popolo in grado di intervenire direttamente sul territorio per curarlo e non strumentalizzarlo?
È inoltre ingiustificato e, ahimè, temo ingiustificabile, il non utilizzo di strumenti quali i tamponi o i test rapidi sulla popolazione e il personale sanitario in trincea. È fresca di poche ore la notizia della sottoposizione a screening del personale sanitario e dei pazienti del Frangipane. Ma ciò non basta, e soprattutto, perché abbiamo dovuto aspettare così tanto? Perché si è dovuto attendere che la situazione divenisse drammatica per questo, seppur giusto e sacrosanto, minimo intervento? Quante altre storie drammatiche, a noi ben note, dobbiamo sopportare, di uomini e donne, ragazzi, nostri concittadini, che mostrando chiaramente dei sintomi vengono bellamente e vergognosamente lasciati in balia di sé stessi? Nostri concittadini, dicevo, gente comune, gente normale, con figli, con fratelli, con sorelle, costretta a convivere ogni secondo con il terrore di perdere ogni cosa.
Queste domande che tutti noi arianesi ci stiamo ponendo aprono una voragine per noi incolmabile e non fanno altro che generare ed alimentare ulteriori domande, ulteriori ansie, ulteriori paure che, continuando così, in questo rumoroso silenzio, sono destinate ad accrescere ed ingigantirsi oltremodo. Nell’epoca del distacco e del distanziamento sociale che tutta la penisola sta vivendo, quello che percepisco, per bocca dei miei cari che stanno affrontando questa condizione nella mia amata città, ahimè, va oltre: è uno straziante senso dell’abbandono. La mia mente vola inarrestabile agli anziani che popolano i vicoletti del centro storico, ai contadini che abitano gli angoli più disparati delle nostre numerose contrade, ai tanti genitori che temono quotidianamente di non riuscire a sfamare le bocche dei propri figli. Chi pensa a loro? Chi pensa a noi?
La domanda più spaventosa che mi pongo continuamente è proprio questa: Perché ci avete abbandonato?
In questo inarrestabile turbinio di voci disperate che si sussegue nella mia testa, sento il bisogno di sottolineare un ulteriore elemento che sta alimentando il nostro dramma: dov’è la nostra classe politica? Mi spiego meglio: il mio popolo sta attraversando questa tempesta senza un timoniere. Come si può solamente pensare che una figura come quella del Commissario prefettizio possa essere utile ai miei concittadini? In questo momento avremmo bisogno di una figura istituzionale a cui poter far riferimento, una figura che possa e voglia ascoltare le nostre istanze e condividerle con chi dovrebbe difenderci. Una figura istituzionale, per intenderci, responsabilizzata e legittimata dal basso, dal popolo che l’ha eletta e che ha in essa riposto le sue speranze. Non una figura imposta dall’alto, da una prefettura lontana.
Nonostante ciò, sento che sia giusto sottolineare le note positive che, rimbalzando sui social, stanno giungendo alle mie orecchie e ai miei occhi. È necessario incoraggiare e lodare i tanti, tantissimi, privati e associazioni che continuamente raccolgono fondi e materiale destinati al nosocomio o che, nel loro piccolo, semplicemente aiutano i più fragili e bisognosi anche solo portando loro la spesa a casa. Sono queste le cose che mi fanno ancor più amare ed essere orgoglioso della mia comunità ed è giusto che sappiano di essere l’ultimo baluardo di umanità e fiducia rimasto sul Tricolle, oltre ai tanti medici e infermieri che stanno lottando in prima linea, non solo al Frangipane, ma anche i vari operatori del Capezzuti e del tristemente noto Centro Minerva. Grazie a tutti voi. Purtroppo, questi grandi atti di umanità non basteranno. Abbiamo bisogno dell’aiuto di chi, costituzionalmente, è legittimato e obbligato a sostenerci.
Il mio invito ai miei concittadini è quello di alzare la voce il più possibile dalle proprie case, nell’auspicio che diventi un grido, talmente forte da arrivare a chi di dovere. Ci auguro che costoro abbiano, dapprima, la forza di mettere in atto delle normative che riescano, o almeno provino concretamente e pragmaticamente, a risolvere questa situazione e, successivamente, il coraggio e la responsabilità di rispondere alle nostre domande.