In un momento nel quale ci sentiamo tutti un po’ reclusi, ricordare le parole di chi il carcere lo ha vissuto davvero e da innocente e in quella reclusione reale ha trovato la forza di scrivere i pezzi più profondo della contestazione americana, ha un valore maggiore.

Angela Davis è una donna che è stata capace di impersonare nella sua vita, ma soprattutto nei suoi studi e nei suoi scritti, la rivolta, la ribellione, la ricerca della giustizia per i più deboli.
Attiva sin dai 14 anni nei movimenti della sinistra americana diventa membro del Partito Comunista USA e dopo aver studiato filosofia in Europa da maesrti come Adorno e Marcuse, torna negli States diventa assistente all’università, si avvicina alle Balck Panthers, sente il profumo della rivoluzione, della lotta delle minoranze. 
Il suo nome diventa in breve tempo un riferimento di quel mondo che, alla fine degli anni ’60, è pronto a far esplodere le libertà ma anche il conflitto sociale che in occidente cova da troppo tempo sotto la cenere. 

Poi la sua vita viene sconvolta. Il 7 giugno del 1970 in una rivolta un ragazzo di colore che aveva rapito un giudice, viene ucciso e le armi che aveva risultano intestate ad Agela. Il governo USA non aspettava altro e inizia la ricerca della ragazza ribelle con i capelli afro. Inizialmente Davis scappa inizia una latitanza che dura qualche mese, viene presa a New York, mentre l’FBI l’aveva addirittura inserita tra i 10 ricercati più pericolosi. 

Angela finisce in carcere ma da subito si capisce che è solo un tentativo di delegittimare di distruggere e di infangare una figura che invece diventa sempre più raggiante e luminosa. In carcere Angela trova nuova linfa per le sue battaglie e per le sue parole. Tra le celle scopre chi è ultimo tra gli ultimi e si accorge, ancora di più, di quanto pesa nella società americana la differenza non solo di classe ma di razza. 
Il nome di Angela Davis, le sue parole rivoluzionarie, i suoi capelli iconici, fanno il giro del mondo. I primi a dedicarle una canzone sarà il Quartetto Cetra, poi arriveranno Bob Dylan, i Rolling Stones, Yoko Ono e John Lennon. 
Dopo più di un anno di carcere Angela viene assolta con formula piena perché non ha commesso il fatto. 
In questo discorso che ha tenuto alla Women's March di Washingston nel gennaio del 2017 Angela Davis riesce con la sua forza e il suo carisma a mettere sullo stesso piano e dalla stessa parte la schiera degli ultimi del mondo globalizzato. 

In un momento difficile della nostra storia, ricordiamoci che noi, le centinaia di migliaia, le milioni di donne, persone trans, uomini e giovani qui alla Women’s March, rappresentiamo le potenti forze del cambiamento, determinate a impedire alle moribonde culture del razzismo, dell’etero-patriarcato di crescere ancora.
Noi sappiamo di essere gli agenti collettivi della storia e che la storia non può essere cancellata come fosse una pagina web. Noi sappiamo che le terre su cui siamo oggi riuniti sono indigene e noi seguiamo l’esempio delle prime popolazioni che, nonostante i violenti genocidi di massa, non hanno mai rinunciato alla lotta per la terra, per l’acqua, per la cultura, per il loro popolo. Salutiamo oggi, in particolar modo, i Sioux si Standing Rock. 
Le lotte per la libertà del popolo nero, che hanno modellato la vera natura della storia di questo paese, non possono essere spazzate via con un movimento della mano.
Non possiamo dimenticare che le vite dei neri sono importanti!
Questo è un paese ancorato alla schiavitù e al colonialismo, che vuol dire che, bene o male, la storia degli Stati Uniti d’America è una storia di immigrazione e di schiavitù. Estendere la xenofobia, lanciare accuse di omicidio e di stupro e costruire muri non cancella la storia.
Nessun essere umano è illegale!
La lotta per salvare il pianeta, per fermare il cambiamento climatico, garantire l’accessibilità all’acqua nella terra dei Sioux, di Flint, Michigan, nella West Bank e a Gaza. La lotta per salvare la flora e la fauna, per salvare l’atmosfera: questo è il punto di partenza della lotta per la giustizia sociale.
Questa è una marcia delle donne, e questa marcia delle donne rappresenta la promessa di femminismo contro il potere pernicioso di uno stato di violenza. Un femminismo inclusivo e intersezionale ci chiama a riunirci nella resistenza al razzismo, all’islamofobia, all’antisemitismo, alla misoginia, allo sfruttamento capitalista.
Si, noi salutiamo la battaglia per il salario minimo orario di quindici dollari! Noi ci dedichiamo alla resistenza collettiva! Resistenza ai miliardari speculatori ipotecari e gentrificatori. Resistenza alle privatizzazioni della sanità. Resistenza agli attacchi contro i musulmani e contro i migranti. Resistenza agli attacchi alle persone con disabilità. Resistenza contro lo stato di violenza perpetrato dalla polizia attraverso il complesso del sistema penitenziario industriale. Resistenza alla violenza intima e istituzionale di genere, specialmente contro le donne trans di colore.
I diritti delle donne sono diritti umani in tutto il pianeta, e per questo diciamo libertà e giustizia per la Palestina! Celebriamo l’imminente liberazione di Chelsea Manning e Oscar López Rivera. Ma diciamo anche: libertà per Leonard Peltier! Libertà per Mumia Abu-Jamal! Libertà per Assata Shakur!
Nei prossimi mesi e anni saremo chiamate a intensificare le nostre richieste di giustizia sociale per intensificare la nostra militanza nella difesa dei popoli più deboli. Colui che ancora difende la supremazia del bianco etero-patriarcato maschile farà bene a stare attento!
I prossimi 1.459 giorni dell’amministrazione Trump saranno 1.459 giorni di resistenza: Resistenza sul territorio, resistenza nelle aule, resistenza sul lavoro, resistenza nella nostra arte e nella nostra musica!
Questo è solo l’inizio e, dicendolo con le parole dell’inimitabile Ella Baker: “Noi che crediamo nella libertà non possiamo riposarci fino a quando non arriverà”!