Benevento

Tutte condannate, ma per un solo capo di imputazione di bancarotta patrimoniale relativo alla concessione di 24 finanziamenti, le sette persone coinvolte nell'indagine della guardia di finanza sulla Cassa di mutualità di Morcone. Si tratta della società cooperativa a responsabilità limitata, che, dopo essere stata posta in liquidazione coatta amministrativa il 16 novembre del 2011 con un provvedimento del Ministero dello Sviluppo economico, era stata dichiarata in stato di insolvenza dal Tribunale di Benevento nell'aprile del 2012.

Alle 13.15 la sentenza del Tribunale (presidente Rinaldi, a latere Di Carlo e D'Orsi), che ha inflitto 4 anni ad Antonio Parlapiano (avvocati Aurelio Di Mario e Francesco Del Basso), 89 anni, Pasquale Rinaldi (avvocato Domenico Russo), 64 anni, di Morcone, membri del Cda, Antonella Di Mella (avvocato Andrea De Longis junior), 59 anni, di Morcone, e Tommaso De Capua (avvocato Antonio Barbieri), 67 anni, di Amorosi, rispettivamente presidente e componente il collegio sindacale.

Tre anni a Nicola Parcesepe, 73 anni, e Guglielmo Fusco, 69 anni - entrambi difesi dall'avvocato Roberto Prozzo -, consiglieri di amministrazione, e 2 anni, pena sospesa, ad Antonella Gramazio (avvocato Giuseppe Maturo), dal 2007 al 2010 membro del collegio sindacale, chiamata in causa per un solo finanziamento erogato.

Per gli imputati sono invece scattate l'assoluzione, perchè il fatto non sussiste, non costituisce reato o non è stato commesso, e la prescrizione dalle accuse di associazione per delinquere, bancarotta documentale e preferenziale.

Disposto anche, per tutti, il risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle 57 parti civili, rappresentate dagli avvocati Angelo Leone, Carmen Esposito, Giuseppe Bosco, Stefano Pescatore, Felicita Delcogliano, Nazzareno Lanni, Riccardo Venditti, Giuseppino Costanzo, Dionisio Lombardi, Massimiliano Toma, Antonietta Fortunato e Valerio Di Stasio

Il pm Patrizia Filomena Rosa, come si ricorderà, aveva chiesto per tutti la condanna a 6 anni. per bancarotta patrimoniale fraudolenta, bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta preferenziale, Era giugno del 2019, e in quella occasione la rappresentante della pubblica accusa aveva anche proposto l'assoluzione di Di Mella, Gramazio e De Capua, “perchè manca la prova”, da un addebito di bancarotta fraudolenta per distrazione, e la dichiarazione di intervenuta prescrizione, per tutti, delle contestazioni di associazione per delinquere, false comunicazioni sociali, falso in bilancio, omissione delle comunicazioni agli organi di vigilanza.

Le sue conclusioni erano giunte dopo una requsitoria nella quale aveva spiegato che “la Cammo veniva percepita come una vera banca su cui fare affidamento per ogni operazione, gestita da persone conosciute nella zona”. Le prime voci di difficoltà, cui erano seguite alcune denunce in Procura, “erano circolate nel 2007”, da qui l'avvio di un'inchiesta dalla quale è emerso – aveva aggiunto - “ che dei circa 8 milioni di indebitamento della Cassa, oltre 5 facevano riferimento a poche posizioni. Si trattava, come li ha definiti la Finanza, di crediti incagliati”. Il Pm aveva poi ricordato la “processione in aula delle parti offese” ed anche alcune testimonianze delle difese “che hanno confermato l'impianto accusatorio”.

A seguire gli interventi dei legali delle parti civili e, infine, le arringhe della difese, che, nel sollecitare l'assoluzione dei propri assistiti, avevano puntato il dito contro le “indagini con gravi carenze” ed il “mancato accertamento di chi aveva fatto le operazioni”, contro “soci che hanno beneficiato di interessi a tassi particolarmente vantaggiosi, con il paradosso di avere come parti civili soggetti che sono indicati come beneficiari di bancarotte preferenziali”.

Nel mirino lo svolgimento dell'attività investigativa e la gestione della liquidazione. “Nessuno si è preoccupato di ricostruire quello che era successo verificando le buste di giornata con i documenti delle operazioni. L'esame puntuale della documentazione avrebbe consentito di accertare chi aveva fatto tutte le operazioni”, avevano evidenziato, definendo la richiesta di condanna “immotivata rispetto alla concreta condotta degli imputati”, con una “sproporzione” rispetto alle pene patteggiate da altri due imputati (2 anni, 11 mesi e 29 giorni per il presidente del Cda, 2 anni e 6 mesi per un consigliere ndr) “con posizioni più gravi e anche per reati oggi prescritti”.