L'avvocato Antonio Leone aveva chiesto per il suo assistito l'assoluzione per non aver commesso il fatto e, in subordine, l'esclusione delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, ed il minimo della pena. Lo aveva fatto dopo aver provato a smontare l'impianto accusatorio, minando l'attendibilità del “coimputato” e delle sue dichiarazioni, e, rispetto alla ricostruzione, insinuando più di un dubbio.
Non ne ha invece avuti il gip Francesca Telaro, che, al termine di un rito abbreviato, ha condannato a 30 anni, esclusa l'aggravante dei futili motivi, Paolo Spitaletta, 51 anni, di Tocco Caudio, e a 18 anni Pierluigi Rotondi, un 31enne originario di Tocco ma domiciliato a Tufara, accusati in concorso dell'omicidio di Valentino Improta, 26 anni, di Montesarchio, ucciso con due fucilate e rinvenuto carbonizzato, il 4 maggio 2018, in una Fiat Punto, intestata alla madre, ferma alla località Cepino di Tocco Caudio, nelle vicinanze di un'area pic-nic sul monte Taburno.
Come si ricorderà, nella precedente udienza il pm Assunta Tillo, che ha diretto le indagini dei carabinieri, aveva proposto l'ergastolo per Spitaletta e la pena di 20 anni per Rotondi, del quale l'avvocato Elena Cosina aveva sollecitato l'assoluzione, la derubricazione dell'imputazione in quella di favoreggiamento, o il concorso anomalo.
Mentre i legali di parte civile – gli avvocati Federico Paolucci, Ettore Marcarelli e Angelo Santoro, per i genitori e le sorelle, e Vincenzo Sguera, per le due compagne dell'uomo- si erano espressi per la dichiarazione di responsabilità degli imputati, condannati anche al risarcimento dei danni in loro favore, da liquidarsi in separata sede.
Secondo gli inquirenti, l'omicidio sarebbe stato scatenato dalla paura che Improta avrebbe generato in Spitaletta. Il 26enne era agitato perchè aveva ricevuto un avviso di garanzia nell'inchiesta sulla rapina compiuta il 10 aprile 2018 in un'abitazione a Montesarchio, cui era seguita, dopo due settimane, la morte di un 83enne che con la sorella era rimasto vittima del colpo. Una vicenda al centro di un processo a carico di Spitaletta che si è concluso lo scorso 10 dicembre con la condanna a 18 anni.
Improta, ritenuto uno degli autori del raid, avrebbe minacciato Spitaletta, che il 22 maggio sarebbe finito in carcere per quella rapina, di chiamarlo in correità se, nel caso in cui fosse stato arrestato, non avesse ricevuto assistenza economica per sé e la sua famiglia, anche per sostenere le spese legali per la propria difesa.
Parole che avrebbero indotto Spitaletta, nel timore che Improta potesse collaborare con la giustizia per alleggerire la sua posizione, ad organizzare, in concorso con Rotondi, l'omicidio del giovane. Facendo credere al 26enne di aver ideato un furto di rame sul Taburno, l'avrebbero attirato in trappola.
La ricostruzione dei fatti parte intorno alle 22 del 2 maggio 2018, quando Improta avrebbe raggiunto i due imputati, che erano a bordo di una Mercedes, al volante della Punto della madre, nei pressi del ristorante il Querceto di Tocco Caudio, dove si erano dati appuntamento. Una volta alla località Le Martine di Tocco Caudio, i tre si sarebbero divisi: Rotondi sarebbe rimasto lì, in macchina, mentre Spitaletta sarebbe salito nella Punto di Improta, contro il quale, una volta alla località Cepino, avrebbe fatto fuoco due volte con un fucile a canne mozze calibro 12.
Due colpi all'altezza della nuca, “esplosi da distanza ravvicinata, da destra verso sinistra”. Poi il fuoco appiccato alla macchina, ed al cadavere di Improta che era all'interno, “con l'utilizzo di un accelerante” che aveva portato la “temperatura a raggiungere il picco di 800 gradi”. A quel punto, Spitaletta avrebbe percorso a piedi, per circa 30 minuti, un sentiero che l'aveva condotto nella zona in cui c'era ad aspettarlo Rotondi, con il quale si era infine dato alla fuga.