Quando è comparso quel tweet della Lega con il messaggio di cordoglio per la morte di Kobe Bryant a pochi minuti dalla chiusura dei seggi con l’hashtag  #26gennaiovotoLega ci siamo tutti indignati ma nello stesso tempo abbiamo tutti capito come sarebbe andata a finire. Perché se arrivi a fare anche questo, a sfruttare la morte, a spingere la tua cifra comunicativa oltre la soglia della volgarità, pur di racimolare consensi all’ultimo minuto, vuol dire semplicemente che hai paura di perdere. Già dall’episodio del citofono, dai, si intuiva.

Dopo i 40mila in piazza a Bologna il 18 gennaio, la sensazione che il vento non fosse più a favore del capitano era diventata palpabile. Quindi oggi possiamo dirlo con certezza: sono state le Sardine a far vincere il candidato di centrosinistra Stefano Bonaccini in Emilia Romagna. Una vittoria “subita” quella del Partito Democratico che sì, esce più forte, ma non per meriti propri.

L’Emilia Romagna si è risvegliata dall’inerzia grazie a quattro ragazzi che sono riusciti a portare in piazza migliaia di persone. Mattia Santori e co. hanno contrastato il populismo di Salvini portando la gente alle urne a votare contro la candidata di centrodestra. E subito dopo le prime proiezioni infatti il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, ha ammesso: “Dobbiamo dire un immenso grazie al movimento delle Sardine“.

La vittoria in Emilia non è ideologica, ma civica. Le sardine sono un collante sociale, segnano una domanda ineludibile, esprimono un disagio, la grande insoddisfazione del modo in cui si gestisce la politica.

Dentro le sardine ci sono anche i delusi del Movimento Cinque Stelle che si è ridotto al limite della soglia psicologica del 4 per cento. Ma in politica non si può mai parlare di partiti che scompaiono, piuttosto di voti che si spostano. Ed è chiaro che lo spostamento c’è stato: molto a sinistra, ma buona parte anche a destra.

Il risultato emiliano porterà con sé inevitabili “aggiustamenti” in maggioranza al Governo, non tanto sui numeri, quanto sui grandi temi che ci sono sul tavolo a partire dalla prescrizione, il referendum, e poi ci sono le prossime elezioni regionali. Ed eccoci al punto. Tra quattro mesi si vota in Campania, Veneto, Liguria, Toscana, Puglia e Marche.

Dopo l’Emilia sarà la Campania il nuovo, definitivo banco di prova del Movimento Cinque Stelle prima, e del governo giallorosso subito dopo.

La Campania roccaforte dei grillini, la Campania del dimissionario capo politico Di Maio ma anche del presidente della Camera Roberto Fico. La Campania di Vincenzo De Luca e del Pd che non ha trovato ancora il coraggio di ricandidarlo. La Campania infine che le sardine hanno scelto per il loro primo congresso nazionale a Scampia, il 14 e 15 marzo, stesso giorno degli Stati Generali dei Cinque stelle: molto più di una coincidenza, ci pare.

A questo punto la domanda è: da oggi cosa sono le sardine? Resteranno movimento o confluiranno definitivamente in un attore politico (come vorrebbe Zingaretti)? E in Campania le sardine per chi voteranno? Voterebbero per De Luca? Qualcuno pensa ancora che la risposta a questa domanda non sia rilevante ai fini del risultato.

L'unico ad averlo intuito per primo è proprio Vincenzo De Luca che oggi chiede per sé e per il partito di seguire il “modello Emilia”. E si rivolge direttamente agli elettori del Movimento Cinque Stelle, i naufraghi, i disorientati, quelli che sono passati dal “vaffa day” alla piazza che non si lega. “Non ai dirigenti – si rivolge De Luca - ma ai cittadini che hanno votato Movimento Cinque Stelle ai quali continuerò a chiedere sostegno alle iniziative che stiamo facendo”. A seguire arriva la nota delsegretario del Pd Campano, Leo Annunziata, per il quale il risultato emiliano rafforza la ricandidatura di De Luca, garanzia di buon governo per la regione.

Ma chi ancora spera di liberarsi dall'ingombrante figura dello sceriffo lavorando per un “nome unitario” che metta d'accordo tutti (anche Dema e Leu) insieme ai Cinque Stelle, oggi è rimasto in silenzio. Tra un mese si vota per le suppletive al Senato nel collegio 07 a Napoli. La candidatura di Sandro Ruotolo (nome vicinissimo a De Magistris) che prima aveva entusiasmato poi ha finito per dividere ulteriormente la sinistra. Più che un laboratorio politico quello napoletano sembra al momento un ambulatorio di salute mentale.

Nel frattempo il Movimento vive la più grave crisi di identità mai registrata dal momento della sua comparsa sulla scena politica nazionale nel 2007. E dal quartier generale di Pomigliano d'Arco, la città di Di Maio e Valeria Ciarambino, arriva il primo sì all'alleanza con il Partito Democratico. Nonostante le assenze, la proposta è stata messa ai voti. Il movimento è diviso, la Ciarambino si è opposta, ma alla fine è passata la linea del dialogo. Ora, dicono i grillini, dipenderà da quale candidato sarà presentato.

E qui arriva l'altra domanda cruciale. Se il Pd candida De Luca il Movimento che farà?

I malumori su un eventuale appoggio all'attuale governatore sono troppi e molto forti, ma pur di non lasciare la Campania al centrodestra sono tanti gli esponenti pentastellati che stanno cambiando idea e si mostrano favorevoli in queste ore ad un accordo “sui temi” e non sulla persona.

Da qui a parlare di accordo chiuso col Pd ce ne vuole. La strada è ancora lunga e la sensazione è che i grillini vogliano tirare avanti fino all'appuntamento di marzo che dovrà ridefinire gli equilibri interni, scegliere il nuovo capo politico, tracciare un percorso per il futuro.

E poi va detto che la Campania non è l'Emilia, ma non è neanche la Calabria. Sembra banale sottolinearlo, ma le condizioni di partenza nella nostra regione sono ben diverse, molto più complesse le dinamiche, meno netti i confini.

Forza Italia esulta per il risultato calabrese, Berlusconi riemerge dall'angolo, acquista maggiore peso nella coalizione di centrodestra, ma di fatto quel risultato non sarebbe stato possibile senza Salvini. D'altro canto la Lega è cresciuta nella punta dello stivale, come cresce in tutto il sud, anzi è stata fondamentale, ma non avrebbe mai fatto cappotto, non ancora almeno, e ha dovuto lasciare agli azzurri la poltrona del presidente.

In Campania fino a ieri nel centrodestra è stato fatto lo stesso ragionamento per le regionali, lasciando al Biscione la libertà di mandare avanti Stefano Caldoro. Ma siamo ancora sicuri che sarà l'ex presidente il candidato della coalizione di centrodestra? Non è un caso che proprio oggi, ad urne chiuse in Emilia, la Lega abbia convocato a Napoli per sabato 1 febbraio il “Tavolo programmatico per la Campania”. Salvini è convinto di poter puntare alla vittoria. E per Caldoro arriva il primo stop del Carroccio.

Il candidato di Forza Italia è considerato forse troppo debole a questo punto per fronteggiare l'eventuale alleanza di centrosinistra in Campania. Lo sa bene la fronda dei dissidenti, quelli che fanno capo a Mara Carfagna per intenderci, che non da oggi hanno espresso perplessità sulla riproposizione di Caldoro. Ma i berlusconiani, forti del risultato in Calabria, insistono. 

Antonio Taiani, europarlamentare e vice presidente di FI rilancia: “Forza Italia è insipensabile per la coalizione, i nostri candidati sono stati tutti vincenti: Cirio in Piemonte, Bardi in Basilicata, Toma nel Molise e ora Santelli in Calabria. Vogliamo continuare su questa scia con Caldoro in Campania” dice Taiani.

La partita dunque è tutta aperta.