I discorsi rivoluzionari spesso sono tanto scomodi quanto giusti, sono tanto emblematici e coinvolgenti quanto pericolosi per chi li pronuncia. Di tutti i discorsi che hanno segnato la vita degli oratori quello che Thomas Sankara tenne nel luglio del 1987 ad Addis Abeba per l’Assemblea dell’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana), rappresenta forse un esempio lampante di quanto possano essere scomode e pericolose le parole.
Thomas Sankara fu ucciso nell’ottobre del 1987, pochi mesi dopo questo discorso e le sue parole purtroppo sono ancora attuali non solo della condizione di molti stati africani ma delle masse popolari di tutto il mondo.
Sankara fun un giovanissimo rivoluzionario che grazie alla sua capaictà dialettica alla sua passione fu soprannominato il “Che dell’Africa”. divenne Presidente dell’Alto Volta nel 1983, grazie a massicce proteste popolari che si erano sollevate a seguito del suo arresto. Aveva 35 anni e la sua vita era stata già molto piena, era entrato nell’esercito, e durante il corso di addestramento in Madagascar, aveva avuto il primo contatto con la dottrina marxista, aveva organizzato e fondato insieme con il suo compagno Blaise Campaoré un gruppo segreto di militari comunisti ed era stato primo ministro. Ad un anno dal suo insediamento cambiò il nome del suo Paese in Burkina Faso, che significa: terra degli uomini integri, bisognava chiudere con i retaggi coloniali e ridare dignità ad un intero popolo. Il Burkina Faso era ed è uno dei paesi più poveri del mondo, Sankara rappresentò la voglia di tutti gli ultimi della terra di cambiare i rapporti della società mondiale, si scagliò con la sua fantastica retorica contro le potenze coloniali, fu il primo a sollevare il problema del AIDS, si mise in moto contro la povertà e contro le violenze coloniali, ma soprattutto diede all’intero movimento terzomondista, a tutti i sognatori del mondo un nuovo riferimento da seguire. Purtroppo la sua storia è durata troppo poco, il 15 ottobre del 1987 Thomas Sankara viene ucciso in un colpo di stato, ad organizzarlo fu uno dei suoi compagni più stretti, con il quale aveva condiviso gran parte del percorso che lo aveva portato al potere, Blaise Campare che con l’appoggio di USA e Francia prese il potere e governò il Burkina Faso per 27 anni fino al 31 ottobre 2014, quando in seguito ad una sollevazione popolare fu costretto alla fuga.
Oggi questo suo discorso che mise in discussione tutto il sistema di indebitamento internazionale e tutta la visione coloniale e razzista dello sviluppo, è ancora drammaticamente attuale e la sua figura che rischia di essere dimenticata, è ancora più affascinate e appassionante.
"Signor presidente, signori capi delle delegazioni,
vorrei che in questo istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci preme: la questione del debito, la questione relativa alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza. Ecco perché ho creduto di dovervi imporre alcuni minuti supplementari affinché ne parliamo.Il Burkina Faso vorrebbe esprimere innanzitutto il suo timore.
Il timore che abbiamo è che le riunioni dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) si susseguano, si somiglino, ma che alla fine ci sia sempre meno interesse a ciò che facciamo.Signor presidente, quanti sono i capi di stato qui presenti che sono stati giustamente chiamati a venire a parlare dell’Africa in Africa? Signor Presidente, quanti capi di stato sono pronti a volare a Parigi, a Londra, a Washington quando laggiù li si chiama in riunione ma non possono venire qui ad Addis-Abeba in Africa? Questo è molto importante, stabiliamo delle misure per sanzionare i capi di stato che non rispondono all’appello. Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta, quelli che vengono regolarmente, come noi per esempio, possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi. Per esempio: ai progetti che presentiamo alla Banque Africaine de Développement (BAD, Banca Africana di Sviluppo) deve essere attribuito un coefficiente di africanità. I meno africani saranno penalizzati. Così tutti verranno qui alle riunioni.
Vorrei dirvi, signor presidente, che il problema del debito è una questione che non possiamo eludere. Voi stesso ne sapete qualche cosa, nel vostro paese avete dovuto prendere delle decisioni coraggiose, perfino temerarie. Delle decisioni che non sembrano essere tutte in tono con la vostra età e i vostri capelli bianchi.
Sua Eccellenza il presidente Habib Bourguiba, che non è potuto venire ma che ci ha fatto pervenire un importante messaggio, ha dato un altro esempio all’Africa, quando in Tunisia, per le ragioni economiche, sociali e politiche, ha anch’egli dovuto prendere delle decisioni coraggiose.
Ma, signor presidente, vogliamo continuare a lasciare soli i capi di stato nel cercare delle soluzioni al problema del debito, col rischio di creare nei loro paesi dei conflitti sociali che potrebbero mettere in pericolo la loro stabilità ed anche la costruzione dell’unità africana?
Questi esempi che ho citato, e ce ne sono altri, meritano che i vertici dell’OUA diano una risposta rassicurante a ciascuno di noi sulla questione del debito. Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini.
Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei «finanziatori». Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo «sbadigliando» possono creare lo sviluppo degli altri.
Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.
Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Signor presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema, ora che perdono esigono il rimborso. E si parla di crisi.
No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua. Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue.
È il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato. Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo. Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore.
Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.
No! Non possiamo essere complici. No! Non possiamo appoggiare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.
Signor presidente, sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di ovunque. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io. È normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. È solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne. Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.
E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.
Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo È solo un esempio. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che quanto al suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare.Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. Ed è per questo d’altronde normale che paghi un contributo maggiore qui.
Signor Presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. È contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo. Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. È il solo modo di vivere liberi e degni.
La ringrazio Signor presidente.
Patria o morte, vinceremo!”