Avellino

Il risultato delle elezioni regionali in Campania ha confermato alcune ipotesi della vigilia ma ha anche lasciato senza risposte molti interrogativi. Da tre giorni, ormai, gli stessi candidati, esponenti politici ed addetti ai lavori hanno svolto una serie di analisi partendo dai dati più disparati. Quasi sempre in primo piano, naturalmente, le performance dei partiti e dei loro rappresentanti aspiranti consiglieri regionali. Altre volte le riflessioni si sono basate sulle quote raggiunte dagli schieramenti nella loro complessità. Quasi nessuno, però, ha inteso approfondire il commento prendendo spunto da quello che dovrebbe essere il vero tema del dopo voto: la percentuale di astensionismo.

Ma come si fa a non sottolineare in maniera decisa che a votare in questa tornata elettorale sono stati solo il 51,93% degli aventi diritto? Solo poco più della metà dei cittadini iscritti nelle liste elettorali. Come si fa a non tenere conto del fatto che a decidere sul futuro amministrativo dell’ente regionale e della sua prossima gestione sia stata una fetta ridotta della popolazione (anche considerando la doppia preferenza)? E che i partiti di riferimento di centrosinistra, il Pd, e di centrodestra, Forza Italia, sono stati capaci di raggiungere, rispettivamente, appena il 19,49% e il 17,81% delle preferenze?

Ecco, è a questi quesiti che chi fa politica dovrebbe provare a dare una risposta. Perché sono assolutamente questi i numeri da cui partire per un’analisi profonda del voto e dell’orizzonte che questa disaffezione alla politica e ai suoi volti noti ha cristallizzato con l’affluenza alle urne e lo scrutinio delle schede. Uno scenario dove riprende forza il Movimento Cinque Stelle che s’impone come terzo partito in Campania e ottiene ben sette seggi su 50.

Da semplici osservatori, comunque, possiamo affermare che ormai quelli che erano sintomi visibili e ineludibili della patologia di cui soffre la politica dei giorni nostri sono scoppiati in tutta la loro gravità, mostrando la malattia per quello che è: l’assoluta mancanza di rappresentanza e rappresentatività dell’attuale classe dirigente campana. Dunque, sia per quanto riguarda la capacità di rappresentare sentimenti, istanze e problematiche di un territorio, sia per i meccanismi di individuazione degli stessi rappresentanti, i cittadini hanno mostrato come la pensano non andando a votare.

La sintesi potrebbe essere: ha vinto De Luca, ha perso Caldoro. Ma il fatto concreto è un altro: la vera sconfitta di queste elezioni è la politica, con una classe dirigente che non ha più autorevolezza e personalità. E tra poco non avrà neanche le basi di un consenso ormai eroso nel tempo da promesse mai mantenute.

Alessandro Calabrese