La strage di Piazza Fontana, quella bomba che alle 16:37 del 12 dicembre di 50 anni fa esplose nel centro di Milano e squarciò l’Italia intera, rappresenta parte dell’identità democratica italiana. Per questo, per ciò che da quel pomeriggio è disceso, per come la storia di un intero popolo è stata interrotta e cambiata da quel boato, quando si parla di quella strage ci sono ancora tante persone disposte a ricordare e a provare a capire. 

Il Presiedete della Repubblica Sergio Mattarella è stato a Milano questo 12 dicembre per celebrare, insieme ai parenti delle vittime, il cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana. Il suo discorso è stato trasmesso in diretta su degli schermi all’interno della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, salotto buono dello shopping milanese. Improvvisamente nella caotica e stressata metropoli lombarda una magia tanto naturale, quanto inaspettata ha avuto luogo. Centinaia di persone si sono fermate ad ascoltare il presidente, centinaia di cittadini hanno mostrato rispetto e interesse per una storia con la quale l’Italia deve ancora fare i conti. Mattarella nel suo discorso ha pronunciato frasi profonde e fondamentali che ridanno dignità e valore ad un Stato che allora tramò contro i suoi cittadini attraverso “Un cinico disegno, di collegamenti internazionali a reti eversive, per destabilizzare la democrazia italiana”. Il Presidente non solo ha avuto il coraggio e la caparbietà di incontrare le vedove di Pinelli e Calabresi insieme, ma ha saputo storicizzare Piazza Fontana e la “strategia della tensione”, ammettendo e condannando quella parte dello Stato che aveva agito con intenti eversivi e soprattutto riconoscendo che “L’identità della Repubblica è segnata dai morti e dai feriti della Banca Nazionale dell’Agricoltura”. 

Il discorso del 12 dicembre 2019 del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ricorda quella strage dopo 50 anni, ha un valore storico importante per l’Italia perché inizia a chiudere un cerchio su di una parte tanto sanguinosa e crudele della storia repubblicana Italiana sulla quale però c’è ancora da fare luce e  giustizia. 

Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signor Sindaco,
Signore e Signori Consiglieri,
Signor Presidente della Regione,
Presidente Arnoldi e cari Familiari delle vittime,
ci troviamo a Palazzo Marino, luogo della democrazia della comunità milanese, contro il quale la ferocia di terroristi neofascisti tentò di replicare, undici anni dopo, la strage di Piazza Fontana.
Siamo qui, oggi, perché avvertiamo il dovere di ricordare, insieme, avvenimenti per i quali si è fatta verità e si è cercata giustizia, tra difficoltà e ostacoli, e sovente giungendo a esiti insoddisfacenti e vani.
L’identità della Repubblica è segnata dai morti e dai feriti della Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Un attacco forsennato contro la nostra convivenza civile prima ancora che contro l’ordinamento stesso della Repubblica.
Uno strappo lacerante; recato alla pacifica vita di una comunità e di una Nazione, orgogliose di essersi lasciate alle spalle le mostruosità della guerra, gli orrori del regime fascista, prolungatisi fino alla repubblica di Salò, le difficoltà della ricostruzione morale e materiale del nostro Paese.
Quel 1969 fu segnato da centoquarantacinque attentati dinamitardi.
Una bomba inesplosa venne rinvenuta presso la Banca Commerciale di piazza della Scala, qui a Milano.
Il 12 dicembre altre tre bombe esplosero, a Roma, presso la sede della Banca Nazionale del Lavoro, in via Veneto; presso l’Altare della Patria, presso il Museo del Risorgimento; provocando altri sedici feriti.
In precedenza, il 25 aprile di quell’anno, due bombe alla Fiera Campionaria e all’Ufficio Cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, presso la Stazione Centrale di Milano, avevano provocato il ferimento di diciannove persone.
Il 9 agosto, su otto treni, in diverse parti del Paese, erano esplosi ordigni con il ferimento di dodici passeggeri.
Ancora, il 19 novembre, a Milano, nel corso di una manifestazione, venne ucciso l’agente di Polizia Antonio Annarumma.
Si può ben comprendere il senso della definizione di “strategia della tensione” utilizzata dalla stampa britannica per definire quella stagione.
In mezzo, il grottesco tentativo di golpe dell’ex comandante della X Mas di Salò, Valerio Borghese.
Una spirale di violenza cieca e antipopolare, che doveva proseguire negli anni successivi, con il progressivo emergere, accanto al terrorismo stragista di matrice nera, di una aggressione alla vita non minore, ispirata a deliranti slogan brigatisti.
Desidero ricordare Vittorio Occorsio ed Emilio Alessandrini, magistrati che avevano indagato sulla strage di Piazza Fontana, assassinati pochi anni dopo, l’uno da terroristi di destra, l’altro da terroristi di sinistra.
Ma i tentativi sanguinari di sottrarre al popolo la sua sovranità sono falliti.
La Repubblica è stata più forte degli attacchi contro il popolo italiano.

La violenza terroristica ha sottoposto a dura prova la coscienza civica dei nostri concittadini.
Il comune sentimento di unità, patriottismo, solidarietà, è stato, con dolore ma con fermezza, più consapevole e più saldo dopo quegli assalti.
Cinquanta anni dopo Piazza Fontana sentiamo, assieme ai familiari delle persone assassinate in quella circostanza, il dolore profondo per una ferita non rimarginabile recata alla nostra convivenza.
Convivenza che si riconosce in pieno nell’Associazione dei familiari che, in questi anni, l’ha ben rappresentata reclamando verità e giustizia e preservando memoria.
Immersi in pieno nella storia d’Italia, di cui l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura rappresenta una pagina triste, indelebile, affermiamo il dovere del rispetto di una memoria collettiva, in una vicenda di cui si conoscono origini e responsabilità.
Disinvolte manipolazioni strumentali del passato, persistenti riscritture di avvenimenti, tentazioni revisioniste alimentano interpretazioni oscure entro le quali si pretende di attingere versioni a uso settario, nel tentativo di convalidare, a posteriori, scelte di schieramento, opinioni di ieri.
Come ha ricordato, nel 2012, il Presidente Napolitano, in occasione della Giornata della memoria, “non brancoliamo nel buio di un’Italia dei misteri: ci troviamo dinanzi a limiti da rimuovere e a problemi di giustizia e di verità ancora da risolvere, ma in un’Italia che ha svelato gravissime insidie via via liberandosene, che ha sconfitto il terrorismo, individuandone e sanzionandone a centinaia gli sciagurati attori, e che ha salvaguardato i presidi della nostra vita democratica”.
La istituzione, da parte del Parlamento, della Giornata della memoria delle vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice ha voluto contribuire a questo scopo. Ha corrisposto alla esigenza di permettere alla nostra comunità di elaborare e riconoscersi in una storia acquisita e condivisa a fronte dei tragici avvenimenti di quelle stagioni.
Il trascorrere del tempo non colloca tra gli eventi vecchi e da rimuovere l’attacco alla democrazia portato in quegli anni: non commetteremo l’errore di pensare che siano questioni relegate a un passato più o meno remoto.
Sono la nostra identità, il nostro Patto civile a essere usciti segnati da quegli avvenimenti, da Piazza Fontana. Occorre esserne consapevoli per non correre il rischio di poterli rivivere.

Di fronte alla follia omicida i cittadini compresero che il loro contributo protagonista alla salvaguardia dell’ordine democratico era prezioso; e reagirono, come qui a Milano, in modo fermo e unitario.
Il patto collettivo di cittadinanza permise di difendere la Repubblica.
È quanto hanno testimoniato, sofferto e operato esponenti della società civile, delle professioni, dei sindacati, dei partiti politici, delle istituzioni locali, magistrati, uomini delle forze dell’ordine, docenti.
Una riserva di valori etici, persino inattesa, che vede, e vide allora, ricca la nostra comunità: una riserva talvolta disertata.
Nelle vittime di Piazza Fontana trova radice l’interrogarsi del Paese sulla propria natura e sul suo destino.
Quella stagione fu specchio dell’anima, della sofferenza del nostro popolo, chiamato a rafforzare una fedeltà laica e civile ai valori della Costituzione: il patto di cittadinanza - basato su principi fondativi, ideali civili, storia plurale ma comune - lasciatoci in eredità dalla Lotta di Liberazione.
Una fedeltà chiesta anzitutto ai servitori dello Stato: uomini degli apparati di sicurezza, Forze Armate, Magistratura, incaricati dalla comunità di vegliare sulla serenità del vivere civile. Non si serve lo Stato se non si serve la Repubblica e, con essa, la democrazia.
L’attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata, quindi, doppiamente colpevole.
Un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali a reti eversive, mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent’anni dall’entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto
.
Furono anni in cui la consapevolezza delle forze democratiche di dover battere la strategia eversiva portò all’allargamento degli spazi di partecipazione nella vita del Paese; con un crescente ruolo dei sindacati nella proposta e nel raggiungimento di obiettivi di eguaglianza e crescita; con un nuovo peso alla condizione giovanile, espressosi anche a mezzo delle lotte studentesche per la riforma delle Università.
A quella primavera, all’autunno caldo del rinnovo dei contratti di lavoro, si volle opporre un dicembre di sangue.
Lo sottolineò il Presidente Saragat, nel suo messaggio del 31 dicembre 1969, segnalando come la violenza subita fosse “agli antipodi di quella forma di generosa ribellione che anima la gioventù contro ogni ingiustizia e che oggi si chiama contestazione, ma che sotto nomi diversi è sempre esistita”.
Forze sociali, Parlamento, Governo, seppero reagire, dando vita a una intensa fase di riforme sociali, economiche, civili, nella vita del Paese.
Dalla legge sullo Statuto dei Lavoratori ai provvedimenti per istituire le Regioni ordinarie, nel maggio 1970. Ancora: la legge per la tutela delle lavoratrici madri, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, gli organi democratici nella scuola, la maggiore età a 18 anni, il nuovo diritto di famiglia; in un disegno ampio di coesione e di inclusione sociale.
Il terrorismo continuò tuttavia – e forse anche per questo - a uccidere in quegli anni, strappando vite di cittadini inermi e servitori della Repubblica, come avvenne con le stragi di Peteano, di Brescia, di Bologna, nel vano tentativo di provocare, nella pubblica opinione, un riflesso disperato all’inseguimento di una sicurezza purchessia, disposto a barattare democrazia con ordine presunto e malinteso.
La democrazia si dimostrò, al contrario, forte. In grado di battere il terrorismo, con gli strumenti propri di uno Stato di diritto, senza rinunciare mai al rispetto dei diritti fondamentali della persona.
Sono i valori della nostra Costituzione.
Il ricordo delle vittime di piazza Fontana sollecita ancor di più la Repubblica ad affermarne la permanente validità.
Ciascun popolo porta, nel proprio intimo, le stimmate di una autobiografia fatta di eroismi, gioie, viltà, dolori, atti di coraggio e misfatti. Su di essi occorre saper fare, con rigore, verità e giustizia.
Nel momento in cui facciamo memoria delle vittime di piazza Fontana - e con loro, con commozione, di Giuseppe Pinelli, del Commissario Luigi Calabresi, dei quali saluto i familiari presenti - sappiamo di dover chiamare le espressioni politiche e sociali del Paese, gli uomini di cultura, l’intera società civile, a un impegno comune: scongiurare che si possano rinnovare in Italia le fratture terribili in cui si inserirono criminalmente quei fatti.
Il destino della nostra comunità non può essere preda dell’odio e della violenza.
Per nessuna ragione la vita di una sola persona può essere messa in gioco per un perverso disegno di carattere eversivo.
Ai parenti delle vittime qui raccolti, cui mi rivolgo con rispetto, solidarietà e affetto - e verso i quali l’Italia avverte di essere debitrice - dobbiamo saper dire che ci sentiamo legati da un vincolo morale.
Italiani fra italiani, cittadini fra concittadini, per essere custodi attenti del futuro del nostro Paese.
Nella fedeltà alle istituzioni della democrazia che ci sono state consegnate dalla nostra Costituzione.