In questi giorni i curdi sono tornati all’attenzione di un distratto occidente. Per questo è importante riproporre le parole di una donna curda come Leyla Zana, attivista, politica e militante ingiustamente incarcerata e perseguitata in quella Turchia che nei curdi ha sempre visto il nemico interno più pericoloso.
L’attacco lanciato dalla Turchia di Recep Tayyip Erdogan contro il L'Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, meglio conosciuta come Rojava, con il lascia passare degli Stati Uniti di Trump e con l’inutile e pacata vocina di dissenso dell’Unione Europea, rappresenta solo l’ennesima tragedia di un popolo che sa soffrire e resistere. Nei colori delle loro bandiere c’è la storia di un popolo che, anche se perseguitato e senza terra, non si fa cancellare. Il rosso della loro bandiera simboleggia il sangue dei caduti, il verde ricorda i paesaggi di quella terra divisa su quattro stati, il bianco la pace e l’uguaglianza e il giallo la luce della speranza.
Eppure le foto delle soldatesse curde dell’Unità di Protezione Popolare, Yekîneyên Parastina Gel in curdo (YPG), avevano affascinato il mondo. Il sacrificio di un popolo e il coraggio di questi combattenti che avevano arginato e sconfitto l’Isis e l’oscurantismo religioso, creando un embrione di stato che si proclama laico, di ispirazione socialista, che si pone come obiettivo l’uguaglianza di genere, la sostenibilità ambientale e la creazione di una società senza diseguaglianze sociali, che aveva riacceso le speranze di un mondo che crede nell’uguaglianza e nella libertà.
Leyla Zana è una figura fondamentale della resistenza curda e con il suo intervento in tribunale rivolto ai giudici che la stavano per condannare il 15 settembre 2003 mostra tutta la fierezza e il coraggio curdo.
Leyla era stata la prima donna curda ad entrare nel parlamento turco nel 1991 e il giorno del suo giuramento, nel 1991, giurò fedeltà alla Repubblica Turca nella sua lingua, il curdo, lingua vietata in Turchia. Nel verbale della seduta parlamentare fu infatti riportato che la deputata aveva tenuto il giuramento in un’idioma sconosciuto.
“Giuro per il mio onore e la mia dignità davanti al grande popolo turco di proteggere l'integrità e l'indipendenza dello Stato, l'unità indivisibile delle persone e della patria e l'indiscutibile e incondizionata sovranità del popolo. Giuro lealtà alla Costituzione. Prendo questo giuramento per la fratellanza tra il popolo turco e il popolo curdo”
Con queste pochissime parole questa donna curda ruppe un tabù insostenibile che le impediva di usare la sua lingua perché così facendo si negava l’esistenza stessa del suo popolo. Attraverso la sua storia si può scoprire il coraggio di un popolo che oggi è stato tradito e abbandonato al massacro da chi racconta di rappresentare la libertà.
La giustizia viene rappresentata da una donna, perché si vuole esprimere una purezza di intenzioni. Gli occhi di questa donna sono coperti da una benda, perché si vuole esprimere l'imparzialità del giudizio. La bilancia nelle mani di questa donna simboleggia l'eguaglianza dinanzi alla legge. E la spada simboleggia la forza del diritto, perché appoggiato dallo stato. La giustizia oggi in Turchia se vuole rispettare questi simboli deve diventare il rifiuto di ciò che è stata e continua a essere. La giustizia deve tornare in Turchia libera dal potere politico, deve tornare a essere indipendente, deve tornare a rifarsi ai principi universali del diritto. Nel nostro paese alla giustizia è stata tolta a suo tempo la benda, così essa è diventata parziale, mentre la spada che ha in mano non è la sua, potrebbe essere quella di un generale o di un capo della mafia o di un aspirante alla dittatura personale o di un qualsiasi altro tipo di potere dispotico. La giustizia in Turchia quando nel 1980 ci fu il colpo di stato si pose al servizio dello stato autoritario. Sorsero tribunali speciali, nuovi tribunali dell'Inquisizione - le Corti per la Sicurezza dello Stato - che si scagliarono e continuano a scagliarsi contro chiunque critichi il potere. In ogni paese dove tutto questo è accaduto ne sono sempre derivate cose molto negative. Veniamo da un secolo di barbarie, ci sono state due guerre mondiali e massacri terribili. In queste guerre e in questi massacri sono morte molte donne e molte altre hanno curato i feriti. Così alla fine di questo secolo le donne si sono trovate molto forti. Hanno quindi cominciato a spezzare le loro catene e a giocare un loro ruolo importante nei cambiamenti sociali. Le donne sono diventate alla fine di questo secolo simbolo di lotta per la pace, la libertà e la democrazia. Offendendo la dea della giustizia in Turchia si è voluto perciò colpire in primo luogo le donne. La nostra lotta è la lotta del nuovo contro il vecchio, della luce contro il buio. C’è un'immensa differenza tra noi e i nostri avversari. È per questa natura totalmente vecchia e buia dei nostri avversari che in Turchia è così difficile il cambiamento. Il Primo ministro Erdogan ha presentato all'Unione Europea l'elenco delle riforme in cantiere e ha dichiarato che l'80% della popolazione turca è a favore dell'ingresso nell'Unione Europea. Il Ministro della Giustizia ha accettato, a sua volta, il rifacimento del nostro processo. Persino il capo dell'esercito ha lanciato un messaggio di cambiamento, dichiarando che il potere deve fondarsi sulla saggezza, non sulla forza delle armi e sullo spargimento di sangue. Abbiamo così sperato che la giustizia venisse liberata, che le riforme progredissero davvero, che cadessero i tabù nei confronti dei diritti dei curdi. Abbiamo lanciato messaggi di pace e di fraternità con cuore sincero. D'altro canto noi siamo innocenti di quanto ci si accusa. Tuttavia successivamente è accaduto che stiamo arretrando. Erdogan ha affermato che i curdi non esistono come popolo, quindi che non esiste una questione curda in Turchia. Anche lui come me ha subito una condanna per avere dissentito dal governo in carica; però oggi sostiene solamente le riforme che gli convengono. E a sua volta questa Corte continua a rifiutarsi di agire come tribunale imparziale. Nella scorsa udienza non abbiamo voluto intervenire proprio per protesta contro il carattere illegittimo di questo processo. La questione curda però esiste lo stesso; esisteva ieri, esiste oggi, continuerà a esistere se non si giungerà a dare una risposta democratica alla domanda da parte dei curdi di riconoscimento dei loro diritti. Dopo il colpo di stato del 12 settembre 1980 mio marito (Mehdi Zana era sindaco a Diyarbakir) venne arrestato. Quando andai trovarlo in carcere vidi che era stato torturato. Non sapevo parlare in turco e gli chiesi "come stai" in curdo. Le guardie che mi accompagnavano mi dissero che il curdo era vietato e che dovevo parlare a mio marito guardandolo in faccia. Dovetti quindi rimanere in silenzio. In quel momento capii la mia realtà. Signori giudici, io come voi sono un prodotto del colpo di stato del 12 settembre 1980. Ero una donna di casa, non appartenevo a nessuna tribù e non avevo nessun sostegno, dopo le torture a mio marito mi sono trasformata in una donna sensibile alle questioni della società. Ho scoperto che tante persone erano state picchiate davanti alle Corti per la Sicurezza dello Stato mentre protestavano contro la repressione e mi sono aperta al loro dolore. Ho poi conosciuto direttamente la violenza dello stato. Nel 1990 la questione curda era più che mai terreno minato, per questo siamo stati arrestati e condannati a 15 anni di carcere. Con questa condanna venne praticata la condanna di un intero popolo. Una guerra sporca scatenata in quegli stessi anni contro questo popolo si prefiggeva di cancellarne definitivamente l'identità. Invece i protagonisti del potere di allora oggi non contano più nulla. Diyarbakir è di nuovo il cuore della cultura curda. Gli intellettuali curdi sono oggi impegnati in una lotta per la democratizzazione che attraversa tutta la Turchia e che riguarda la Turchia come tale. Signori giudici, io e voi apparteniamo alla stessa generazione. Mentre io ho lottato per la pace, la solidarietà tra i popoli della Turchia e la libertà, voi avete lottato per il contrario, e continuate a farlo. Voi continuate a voler ribaltare il corso della storia. Non capite che la società oggi chiede cambiamenti, che non vuole più la guerra civile, che ha in sé un profondo desiderio di pacificazione, di fraternità, di fiducia tra tutte le sue componenti. Voi giudici vi ostinate a negare l'esistenza di un popolo e i suoi diritti più elementari. E avete in mano in questo momento una grande responsabilità: quella di determinare l'andamento della lotta in Turchia tra il vecchio e il nuovo. Se imporrete una decisione di questo processo a partire dalle vostre posizioni la Turchia subirà una sconfitta grave. Se la resistenza al cambiamento prevarrà, a partire da questo processo, più in generale nella realtà della Turchia, ancora molto sangue verrà versato, e alla fine lo stato si disintegrerà. E le vostre coscienze non potranno più essere tranquille: pensateci. La sentenza di questo processo probabilmente è già stata emessa. Avevamo sperato che ci fosse un passo in avanti, pare che ci siamo sbagliati. Comunque la vostra decisione per noi personalmente non è molto importante. Una nostra nuova condanna sarà invece una condanna definitiva delle Corti per la Sicurezza dello Stato dinanzi alla storia. Il nostro impegno per una Turchia democratica continuerà ugualmente, e alla fine ce la faremo, anche contro queste Corti.