Anche a distanza di nove anni dalla scomparsa il ricordo di Simone Casillo è ancora vivo. E non solo per i suoi familiari, i suoi amici e quanti ebbero modo di conoscerlo, ma anche per i medici che a lungo lo ebbero in cura all’ospedale “Pascale” di Napoli. La dimostrazione c’è stata in occasione dell’inaugurazione della nona edizione del torneo di calcio a cinque che si sta disputando presso l’impianto polivalente di via Salvi che porta proprio il nome di Simone Casillo.
Da Napoli sono arrivati per l’occasione il dott. Antonello Pinto (primario del reparto di Oncoematologia del “Pascale” di Napoli) e il dott. Gianpaolo Marcacci (oncoematologo della Fondazione “Pascale” di Napoli), i due medici che ebbero in cura il 23enne colpito da un tumore alle ghiandole linfatiche noto come “Il linfoma di Hodgkin”.
«E’ una malattia complicata - ha sentenziato il primario -, che colpisce soprattutto i giovani anche se è l’unico tumore da cui si guarisce completamente con le cure farmacologiche. Il problema è che solo 6-7 pazienti su 10 guariscono con la prima terapia, i restanti, come nel caso di Simone, affrontano un percorso molto lungo e difficile, con poche aspettative di vita. Il cancro è una malattia della famiglia perché cambia tutto, modifica ogni situazione interna. Un giorno ebbi un lungo colloquio con Simone (e il medico quasi scoppia a piangere, ndr.) per convincerlo a continuare le cure perché lui, comprensibilmente, non ne voleva più sapere. E questo è l’aspetto meno bello del nostro lavoro, anche se il più pregnante. Non è facile dire la verità, ma è ciò che è successo quel giorno. E’ anche vero che negli ultimi dieci anni la medicina ha fatto enormi progressi, oggi Simone sarebbe stato curato in maniera diversa ed, in fondo, è quello che tentiamo di fare con chi non riesce a guarire con la prima terapia: prendere tempo e sperare di poter disporre di cure più efficaci. Il nostro obiettivo - ha concluso il dottor Pinto - è quello di accogliere pazienti come Simone dando risposte migliori, magari molto prima dei tempi normali».
Il dott. Gianpaolo Marcacci, invece, ha messo in evidenza l’aspetto emotivo: «Da noi arrivano soprattutto pazienti giovani - ha esordito l’oncoematologo -, insieme alla loro famiglia che vede in te l’ultima possibilità. La famiglia è come se ti affidasse quel ragazzo e quel ragazzo deve prepararsi a vivere una fase molto difficile. Noi cerchiamo di offrire la migliore qualità di vita possibile, anche durante il trattamento chemioterapico ad alte dosi. E sotto questo profilo il nostro centro è diventato il più importante del sud d’Italia».
Ad offrire la propria testimonianza c’era anche il dott. Adolfo Mazzeo (dirigente medico di Immunoematologia del “Moscati” e presidente dell’associazione “Fratres" di Atripalda): «La cosa più importante che possiamo fare da sani è donare il sangue - ha esordito l’ematologo - perché donare il sangue equivale a donare la vita. In Italia le donazioni sono ancora poche rispetto al fabbisogno e perciò è importante cominciare a farlo e poi farlo abitualmente, anche perché donare il sangue ci consente di essere controllati molto scrupolosamente visti tutti gli esami che vengono effettuati. Donare è un gesto consapevole, volontario e abitudinario. Come associazione “Fratres” abbiamo ricevuto 160 donazioni nel 2014 e 17 donazioni durante la giornata del giro d’Italia. Siamo soddisfatti e andiamo avanti».
Fra il pubblico presente, formato soprattutto da giovani, si sono notati il comandante dei carabinieri Cucciniello, l’ex sindaco Laurenzano, i consiglieri Pacia e Musto, gli ex consiglieri La Sala, Iaione, Capozzi e Lombardi, il presidente di “Adelpa” Iannaccone.
Prima della celebrazione della santa messa, ha preso la parola il consigliere Flavio Pascarosa: «Porto i saluti del sindaco, trattenuto da impegni imprevisti - ha esordito il delegato al tempo libero -. Mi hanno molto colpito le parole del dottor Pinto: quando la commozione prende il sopravvento sull’emozione significa che c’è slancio, amore. E di questo lo ringraziamo. Donare il proprio sangue è un atto di gratuità che non ha prezzo. Simone è risorto, vive in mezzo a noi, io lo chiamavo ‘big gim’, era un ‘gigante buono’. I frutti migliori cadono per primi».
Prima del calcio d’inizio, don Enzo De Stefano, affiancato da don Christian, ha celebrato una santa messa, durante la quale ha ricordato Simone: «Ricordo bene quel ragazzo con una grande voglia di vivere, che un giorno, mentre provavo a dargli conforto, mi ha donato un sorriso: anziché dare qualcosa io a lui è stato lui a dare qualcosa a me. La vita è vissuta se è donata e la prima cura è l’amore».
Gianluca Roccasecca