Si accentua la forbice tra Nord e Sud e questa emergenza deve far parte dell’agenda del governo. E’ la denuncia dell’Unsic, il sindacato datoriale nato nel 1996 e ormai ramificato in tutta Italia con 2.100 Caf e 600 Patronati, di cui 15 all’estero.

“Significativo il fatto che il Pil pro capite nelle regioni meridionali sia la metà di quello del Centro Nord (un ritardo maggiore di quello degli anni Sessanta) – scrive il presidente dell’organizzazione, Domenico Mamone, nell’anteprima del saggio “Il Mezzogiorno, che farne”. Quindi riporta la classifica dei comuni che hanno i residenti più ricchi, fonte Ancitel, che vede ai primi mille posti tutte località del Centro Nord, ad esclusione di San Gregorio di Catania (115sima), Aci Castello (653), Lecce (898), Tremestieri (964) e Procida (975). Al contrario, in fondo alla classifica c’è quasi tutto il Sud.

Mamone ricorda, inoltre, che la prima provincia meridionale nella classifica annuale della qualità della vita stilata dal Sole 24ore è al 73esimo posto (Ragusa).

“Nel Mezzogiorno soltanto un giovane su quattro ha un lavoro e nella stragrande maggioranza dei casi nemmeno stabile. Tanta parte è garantita dal sommerso. Il dato ufficiale della disoccupazione nel Sud, prossimo al 20 per cento, è il doppio di quello del resto del Paese. La quota più alta di Neet, cioè coloro che non studiano e non lavorano, continua a concentrarsi tra Campania, Calabria e Sicilia. Il 10 per cento della popolazione campana vive di pendolarismo fuori regione. Chi è residente nel Meridione, lo certifica l’Istat, guadagna in media quasi meno della metà di chi lavora al Nord. Ma continua a pagare le stesse tasse, senza avere gli stessi servizi. L’incidenza della povertà relativa al Sud risulta più che tripla rispetto al resto del Paese sfiorando il 30 per cento”.

L’Unsic ha raccolto numerosi dati meridionali, tutti drammatici, proprio per sottolineare la forbice con il Nord. La mobilità ospedaliera extraregionale nel Mezzogiorno, ad esempio, ha doppiato quella del resto del Paese (9,3 contro 4,4 per cento), circa 115mila ricoveri di meridionali ogni anno presso strutture del Centro Nord. Inoltre si amplifica la differenza in termini di speranza di vita alla nascita, che va dagli 80,7 anni di Caserta agli 84,1 di Firenze.

“Se la media italiana di bambini accolti in asili-nido e altri servizi per la prima infanzia è di 12,6 su 100 residenti, intere province di Calabria e Campania sono sotto quattro – continua Mamone. “La quota di popolazione che denuncia irregolarità nell’erogazione dell’acqua è del 17 per cento nel Mezzogiorno contro il 3,4 per cento al Nord. I comuni commissariati sono quasi tutti al Sud. Per Unioni di comuni primeggiano Valle d’Aosta, Emilia-Romagna e Sardegna, mentre chiudono la classifica Campania. Basilicata e Calabria. Il Molise è ultimo nel continente europeo, come attesta Eurostat, per flussi turistici”.

A tutto ciò si sommano i problemi nell’utilizzo dei fondi europei e nei tempi di realizzazione delle opere pubbliche (dei 647 progetti che nel 2017 risultavano avviati e non completati, il 70 per cento è localizzato nel Mezzogiorno, per un valore totale di due miliardi di euro).

Una percentuale emblematica viene dall’ultimo Rapporto Svimez: dal 2008 al 2018 la spesa pubblica, principale motore dello sviluppo economico in un Sud povero di industrie, ha registrato una caduta di ben l’8,6 per cento nel Mezzogiorno a fronte di un aumento dell’1,4 per cento nel Centro Nord. La prospettiva dell’autonomia finanziaria differenziata potrebbe peggiorare le cose.

Dopo aver affrontato dettagliatamente i problemi della ripresa dell’emigrazione di massa e dello spopolamento dei piccoli comuni (nei primi quattro mesi del 2019, la Sicilia ha perso 12mila residenti, la Campania 11mila, la Puglia 7mila, la Calabria 4mila, la Basilicata poco meno di 2mila e il Molise mille) e compiuto un excursus storico sulle molteplici cause dei ritardi, l’Unsic chiede al governo “un grande choc positivo, capace di accompagnare e assicurare al Mezzogiorno, cioè ad un terzo dei cittadini italiani, uno sviluppo solido e duraturo, cioè strutturale”. Senza questo “non ci potrà essere vero progresso per tutta la nostra nazione”.

Pur nella consapevolezza che “non è facile individuare ricette miracolose dal momento che la politica, in epoche completamente diverse, non c’è mai riuscita”, tuttavia “almeno l’obiettivo dovrebbe essere chiaro e comune: realizzare un quadro istituzionale e sociale che sia attrattivo per chi ci vive, per chi vorrebbe tornarci a vivere, per coloro che sarebbero disponibili ad investirci risorse, ma con condizioni ambientali meno problematiche”.

L’analisi, che ritiene ineluttabili spinte culturali e di capacità di analisi “che negli ultimi anni sono venute meno”, pone la necessità di rendere il contesto infrastrutturale, ambientale ed economico locale per poter ampliare la base produttiva e rilanciare anche il dato demografico, problema che si pone all’orizzonte con crescente gravità”.